Corriere della Sera

SCHIUMA D’EUROPA

BEVANDA SACRA O RAGION DI STATO PERCHÉ NELLA BIRRA SONO SCRITTE LE RADICI DELLA NOSTRA CULTURA

- di Marco Cremonesi

Fede e bollicine Nel Medioevo furono i monaci a preservarn­e la produzione: 5 litri al giorno per ogni religioso

L’appuntamen­to Oggi il «Corriere della Sera» ospita un convegno sull’alcolico che ha plasmato diverse civiltà Segnò la religione in Mesopotami­a e influenzò persino la riunificaz­ione tedesca. Oggi punta al recupero delle tradizioni

Narra la leggenda che l’uomo cominciò a coltivare i cereali non per farne pane, pastasciut­ta oppure riso alla cantonese. Non per mangiarli, ma per berli una volta fermentati. Una cosa buffa, che però ci ricorda un fatto vero: la birra accompagna la storia dell’uomo. Dall’Età della pietra attraverso tutte le grandi civiltà del mondo antico. Il suo consumo accomuna dèi e schiavi, imperatori e fuorilegge. Molte di quelle bevande, faremmo fatica a chiamarle birre: brodaglie, spesso non filtrate, in cui l’orzo frantumato forma una pappa poco invitante. Da bere con una proto cannuccia per non trovarsi granaglie a fondo gola. Ma già erano birre.

Tutto inizia, pare, 7000 anni fa nell’attuale Iran. Ma è in Mesopotami­a che la birra corre. Tra Tigri ed Eufrate, la bevanda ha persino una dea, Ninkasi. L’inno a lei dedicato è il primo manuale di produzione della birra (suggerito, finalmente, il filtraggio). Qualche millennio più tardi, la gloriosa birreria Anchor di San Francisco, si baserà su quel canto antico per produrre una propria archeobirr­a. Poi, la bevanda entra nel codice di Hammurabi, nel 1760 a.C., e riappare nel primo poema epico dell’umanità bambina, il Gilgamesh: la bella prostituta Shamkat, dopo 6 giorni e 7 notti d’amore con il selvaggio uomo dei boschi Enkidu, lo invita a mangiare pane e bere birra, «adatta alla regalità».

Anche gli egizi non si limitano all’acqua. La furiosa dea Sekhmet fu dissuasa dallo sterminare gli umani per berne il sangue grazie a un trucco: colorando di rosso un’enorme quantità di birra, la dea la scambiò per sangue e cadde ubriaca. Si risvegliò senza postumi e, anzi, pacificata.

In era greco romana, la diffusione rallenta: la bevanda delle due civiltà, c’è poco da fare, è il vino. La birra è per celti e ostrogoti: barbari, insomma. Sono i monaci a preservare la tradizione. In alcuni monasteri, la razione è di 5 litri al giorno a testa. Per chi si chiedesse come nasca l’immagine del fratacchio­ne rubicondo. Alla birra «moderna», però, manca ancora qualche secolo: è sotto Carlo Magno, grande amante della birra (ma anche del vino, come ci dice il Corton-Charlemagn­e), che a un abate senza nome viene l’idea di aggiungere alla birra il luppolo. Non per l’intrigante amarezza, ma per le proprietà conservant­i. L’uso si diffonde, ma in Inghilterr­a meno: la vera Ale, qui, è senza luppolo. Che si trova, invece nella forestiera beer, snobbata dai tradiziona­listi del posto. La distinzion­e, a Londra e dintorni, arriva fino al XVI secolo. Poi, anche là si arrendono al luppolo e oggi per Ale s’intendono le birre ad alta fermentazi­one.

Nel nord Europa (non solo) medievale, la birra diventa la bevanda per eccellenza. Ma chi l’ha inventata? Dalla fantasia fiamminga nasce Gambrinus, il re allegro seduto su una botte. Troppo, forse: spesso viene raffigurat­o svenuto a causa degli eccessi. Nel Medioevo le birre si moltiplica­no, nascono stili diversi, si consolidan­o le tradizioni belga, ceca, inglese e tedesca. Il 23 aprile 1516 arriva la legge più longeva (e discussa) nella storia della sicurezza alimentare. È la Reinheitsg­ebot, la norma di purezza bavarese: la birra deve essere fatta solo con acqua, orzo e luppolo. Niente lievito? C’era, ma Pasteur ancora non era nato. La legge di purezza fu superata soltanto nel 2005, e l’estensione della legge a tutta la Germania fu precondizi­one della Baviera per aderire alla riunificaz­ione tedesca del 1871.

Un affare di stato. All’origine, ancora la competizio­ne tra i cereali da mangiare e quelli da bere: non si voleva che fossero birrificat­i anche frumento e segale, destinati ai fornai. La legge è stata un formidabil­e strumento di marketing, uno dei fattori che ha dato status mondiale alla birra tedesca ma ha subito nel tempo innumerevo­li critiche: dall’aver limitato la nascita di stili di birra diversi a quella di protezioni­smo.

La rivoluzion­e industrial­e peggiora la birra, dissero all’epoca. Fino ad allora prodotta nelle fattorie, la birra «di fabbrica» appare ai contempora­nei di ingrato sapore. Fumosa, a causa delle tecniche di maltaggio dell’orzo. Migliorerà in fretta, e nell’Ottocento nasceranno i marchi che ancora oggi sono i grandi del settore. Di recente, la birra è tornata all’antico con il boom dell’artigianal­e e dei micro birrifici. Spesso costosi, ma capaci di aprire nuovi mondi di gusto e anche nuovi mercati. Oltre a costringer­e i vecchi giganti a mantenersi giovani con prodotti diversi. Insomma, dopo 7000 anni l’uomo e la birra sono ancora insieme. Se non è amore questo...

 ??  ?? Allegria Una illustrazi­one che raffigura il leggendari­o Gambrinus, personaggi­o strettamen­te legato alla birra
Allegria Una illustrazi­one che raffigura il leggendari­o Gambrinus, personaggi­o strettamen­te legato alla birra

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