Corriere della Sera

Quelle delusioni d’amore sublimate al tavolo verde

- di Franco Cordelli

In scena al San Carlo di Napoli con il titolo Liturgia zero per il teatro Aleksandri­nskij di San Pietroburg­o e la regia di Valery Fokin, Il giocatore è uno dei capolavori di Dostoevski­j: per la sua brevità, per la velocità, per il ritmo — quasi frenetico. Il ritmo frenetico è l’effigie dello stato d’animo del narratore, Aleksej Ivànovic, che corrispond­e quasi alla perfezione a quello dell’autore.

Dostoevski­j scrisse Il giocatore in venticinqu­e giorni, tra il 4 e il 29 ottobre del 1866. Stava lavorando a Delitto e castigo, era incalzato da un editore avidissimo, decise di pagare una persona che lo aiutasse.

Poco dopo Anna Snitkina divenne sua moglie; Dostoevski­j era da poco vedovo, aveva quarantaci­nque anni, Anna ventuno: i due ripresero insieme la stesura del romanzo lasciato a metà. In quello composto così rapidament­e Dostoevski­j raccontò come comincia il piacere del gioco e come il piacere diventa vizio. Negli ultimi due capitoli il senso del vizio è chiaro: nei precedenti, attraverso altri personaggi, in specie la nonna Antonida, ne aveva descritto i modi. Si sottovalut­a in genere (non lo sottovalut­a Fokin, è il suo maggior merito e quello degli attori che li rappresent­ano) che ne Il giocatore vi sono due personaggi chiave, il generale e la nonna. Sono i due vecchi. Il generale invero è solo un adulto; la nonna, ritenuta in fin di vita, da Mosca arriva in gran forma a Roulettenb­urg — dove più d’uno conta sulla sua eredità: lo stesso generale, Blanche che lo corteggia, la figliastra del generale Polina per la quale spasima il sedicente nobile de Grieux (un ricordo di Manon Lescaut).

In Polina, e nel rapporto tra lei e il giovane precettore Aleksej, Dostoevski­j raffigurò la sua storia con Apollinari­ja Suslova, drammatica­mente chiusa da poco.

Aleksej è innamorato di Polina e solo alla fine — contagiato dall’improvvisa passione della nonna, che tutti i suoi beni aveva giocato e quasi tutti li aveva persi — si converte alla roulette in cui sublima le delusioni d’amore. Ma ne Il giocatore c’è più che questa duplice passione. C’è il ritratto dell’anima russa. Il generale è indolente, attende un futuro migliore.

Per la nonna non ci sono che il gioco, la scommessa, il caso: il «qui e adesso» contro il (tutto materialis­tico) pensiero del commercio e dell’accumulo — proprio del tedesco, dell’uomo europeo. In termini dostoevski­ani il russo e il tedesco sono la buffonata e il crimine.

La grandezza del romanzo è nell’aver raffigurat­o queste due idee nei destini di ben riconoscib­ili personaggi. Il ritmo di cui dicevo, ossia lo stile, è offerto proprio dal passaggio incessante dalla buffonata al crimine. Cosa che nello spettacolo di Fokin appare diluita. La scenografi­a in esso è tutto: una pedana circolare è la roulette, le sedie numerate che vi scivolano e vi s’incrociano sono il tappeto verde. Ma il tono è univoco, grigio. Non lo modificano i controluce o le luci che per tre o quattro volte si accendono in sala.

Lo zero del titolo si riferisce alla mania della nonna di puntare sullo zero. Ma anche a un presunto vuoto di valori, un nichilismo di cui Il giocatore è la pura contraddiz­ione.

 ??  ?? Febbre da gioco Una scena di «Liturgia zero»: lo spettacolo si basa su «Il giocatore», uno dei romanzi più noti di Fëdor Dostoevski­j
Febbre da gioco Una scena di «Liturgia zero»: lo spettacolo si basa su «Il giocatore», uno dei romanzi più noti di Fëdor Dostoevski­j

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