Il fraseggio libero di Blomstedt per le incompiute
Si può opinare su questo o quell’aspetto del cartellone 2015-16 della Scala ma due bei colpi il direttore artistico Pereira li ha messi a segno. Il primo è che Bernard Haitink, uno dei massimi interpreti viventi, verrà presto a dirigere nientemeno che il Requiem tedesco di Brahms. Il secondo è già cronaca e riguarda un altro ultraottantenne, Herbert Blomstedt, che ha debuttato a Milano dirigendo la Filarmonica scaligera in due pagine incompiute, la Sinfonia n.8 di Schubert — la locandina rispetta le acquisizioni filologiche e la pubblica come n.7; in ogni caso dici l’Incompiuta e non serve altro — e la n.9 di Bruckner.
È un gran bel programma (lo stesso peraltro diretto da Abbado nel suo ultimo concerto), anche perché il legame tra quello Schubert e l’ultimo Bruckner è fortissimo, sia nel modo di concepire la frase musicale, sia di delineare i blocchi formali entro cui essa trae forza ed espressione. E Blomstedt è uno che antepone il senso della forma a ogni cosa. Il suo fraseggio è libero, ma si muove entro una griglia architettonica così nitida e rigorosa che ogni cosa sembra «cadere» al suo posto. E in tale orizzonte esecutivo l’orchestra si trova a proprio agio. Produce infatti un suono vivo, disteso, limpido; così luminoso, pur nella alta densità del tessuto polifonico, da accreditare la suggestiva immagine di un Bruckner come rasserenato al cospetto della morte. È un incontro felice, questo tra Blomstedt e la Filarmonica, che insieme con il pubblico manifesta infatti al direttore svedese un apprezzamento come raramente si vede. Che torni presto è l’auspicio di tutti.