Corriere della Sera

«Il più grande pasticcere», un talent senza alchimia tra i giudici

- Di Aldo Grasso

Arrivati alla seconda stagione del talent «Il più grande pasticcere», le domande sono rimaste le stesse dell’anno scorso: perché la Rai sceglie di realizzare un programma copia carbone di altri talent show culinari già consolidat­i, inseguendo canali come Real Time e SkyUno? Ma soprattutt­o, perché l’imitazione del Servizio Pubblico è peggiore dei precedenti realizzati dai canali digitali?

Come noto, la trasmissio­ne è l’adattament­o di un format francese, «Qui sera le prochain grand pâtissier?», e questo in sé non è certo un problema. Il problema è che, come in pasticceri­a, anche in television­e la presentazi­one è importante: i maestri pasticceri

Vincitori e vinti

QUESTO È IL MIO PAESE Violante Placido Fiction contro Champions: per Rai1 ci sono 5.232.000 spettatori, 20,7% di share

BARCELLONA - ROMA Rudi Garcia Champions contro Fiction: la disfatta della Roma su Canale 5 è per 4.529.000 spettatori, 16,3% di share insistono perché i concorrent­i curino ogni dettaglio, ma la confezione del programma evidenzia non pochi limiti (Rai2, martedì, 21.20). In questa seconda edizione si è scelto di rinunciare alla presenza della conduttric­e (anche perché Caterina Balivo è passata al comando di «Monte Bianco»), per andare incontro alle tendenze più recenti e raffinate di programmi come «Masterchef», che delegano la costruzion­e del racconto alla voce fuori campo e al montaggio. Elementi che in questo caso non riescono a dettare un ritmo e una tensione narrativa adeguati.

Il limite maggiore però è un altro: questi show funzionano quando si crea una riuscita alchimia tra giudici dalla forte personalit­à, originale o «studiata» dal lavoro degli autori, e concorrent­i che possono trasformar­si in personaggi con una storia da raccontare, che assumono dei ruoli narrativi all’interno delle varie fasi del gioco. Tutto questo nel «Più grande pasticcere» non succede, anche perché i giudici Luigi Biasetto, Roberto Rinaldini, Leonardo Di Carlo e Iginio Massari, maestri nella loro profession­e, hanno uno scarso physique du rôle televisivo. Peccato insistere su questa strada, anche perché Rai2 ha mostrato di saper fare molto meglio nel campo dell’intratteni­mento (vedi il caso di «Pechino Express»).

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