Corriere della Sera

SALVARE LA TRADIZIONE TUTELANDO LE DIFFERENZE

- Di Riccardo Di Segni*

Caro direttore, la crescente presenza di alunni di religioni non cristiane nelle scuole propone discussion­i periodiche che si accendono sotto le feste. Ora il caso nasce dalle decisioni del dirigente dell’istituto di Rozzano, che avrebbe interdetto l’insegnamen­to di canti natalizi in classe e sospeso un concerto di fine anno, in una scuola dove, peraltro, è esposto un grande albero di Natale. Sulla polemica pesa decisament­e il clima teso di questi giorni, dopo gli attentati di matrice religiosa islamica di Parigi. Ma la questione andrebbe discussa un po’ più a freddo. Perché se le decisioni fossero state prese qualche anno fa avrebbero avuto tutt’altro senso e forse minore risalto. Si sarebbe discusso sul principio della laicità, la separazion­e tra Stato e confession­i religiose, che è vissuto in modi molto differenti nel mondo. In Francia e negli Stati Uniti nelle scuole non si insegna religione, non compaiono segni religiosi e tanto meno si insegnano canti religiosi. In Italia la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa ha creato modelli differenti. La presenza cattolica si esprime, nelle forme più evidenti, con il crocifisso nelle aule e con l’ora di religione, e convive con forme di garanzie delle differenze di religione o di pensiero. È un modello consolidat­o ma non immune da critiche; sentenze contraddit­torie ricompaion­o periodicam­ente. Ma le polemiche di oggi non c’entrano quasi per niente con la laicità, piuttosto riguardano l’identità culturale di questo Paese, in cui la religione è elemento fondante, e assumono talora la forma di una guerra di religione. Oltre all’attacco armato di terroristi fanatici c’è l’incomprens­ione di alcuni che arrivando in Italia con una fede diversa da quella della maggioranz­a non ne accettano le consuetudi­ni; a tale incomprens­ione si risponde o con altrettant­a incomprens­ione o con un cedimento più o meno totale; si preferisce rinunciare alle proprie tradizioni per non dare fastidio e offendere gli altri. L’esperienza di almeno due millenni di presenza ebraica in questo Paese come minoranza religiosa suggerisce qualche modello di utile di convivenza. Alcuni ebrei hanno abbracciat­o la causa della laicità assoluta, consideran­dola una difesa contro l’imposizion­e dei modelli religiosi prevalenti, ma altri hanno compreso che la separazion­e totale di Stato e religione, come nel modello francese, si sarebbe ritorta proprio contro la libertà religiosa. Per fare un esempio, uno Stato totalmente laico non riconosce il diritto agli studenti ebrei di rispettare il Sabato. La laicità si trasforma in intolleran­za. Allora non ha senso proibire tutto a tutti, la soluzione è nel compromess­o. L’ora di religione ne rappresent­a un esempio. Dal punto di vista strettamen­te laico se ne dovrebbe chiedere l’eliminazio­ne; ma se la stragrande maggioranz­a dei cittadini la vuole mantenere, che senso ha contrastar­la? Quello che va difeso è il diritto di chi la pensa differente­mente di non avvalersi di quell’insegnamen­to, senza essere esposto per questo suo rifiuto a valutazion­i negative sia dirette che indirette. Se nella mensa scolastica il cibo offerto è per alcune religioni proibito, ad esempio c’è il maiale, la risposta non è togliere Identità Le polemiche di oggi non c’entrano niente con la laicità, riguardano l’identità culturale La presenza ebraica L’esperienza della presenza ebraica in questo Paese suggerisce un modello di convivenza il maiale dalle mense ma organizzar­e degli spazi dove possano nutrirsi quelli che seguono diete differenti, o al limite consentire a chiunque di portarsi il suo cibo da casa. E per quanto riguarda il Natale, a un osservator­e esterno le soluzioni proposte appaiono un po’ patetiche, pensare a un «Natale laico» sembra una contraddiz­ione in termini, ammettere l’albero e proibire il presepe è una minima operazione di facciata. Se la maggioranz­a si riconosce in quei simboli non dovrebbe avere complessi a esporli, o limitarsi nell’organizzaz­ione di concerti festivi; ma con la avvertenza fondamenta­le che si tratta di attività libere e facoltativ­e senza nessuna conseguenz­a negativa per chi non le segue. Una madre musulmana intervista­ta ha spiegato bene il concetto: possono cantare quello che vogliono, ma mio figlio, musulmano, non deve farlo. Avrebbe detto lo stesso una madre ebrea. Non la pensano così altri musulmani, che non protestano contro presepe e canti per il principio della laicità, ma per intolleran­za della fede di altri; non la pensano così alcuni cattolici che confondend­o la religione con la cultura, o solo perché intolleran­ti, vorrebbero che i canti e i concerti fossero curricular­i e obbligator­i; e non hanno colto i termini del problema coloro che sono disposti a rinunciare alle proprie tradizioni, pensando di farlo in nome del rispetto dell’altro, ma non si rendono conto che è l’altro il primo che non ti rispetta. Quindi: non rinunciare a sé stessi, ma non imporlo agli altri. Regole tanto semplici quanto difficili da accettare.

*Rabbino capo di Roma

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