Corriere della Sera

La partita della Consulta e la variabile Italicum

Nuova seduta comune. I tre candidati di Pd, Ncd e FI sono favorevoli alla legge elettorale

- Dino Martirano

Ventotto fumate nere e ancora oggi, in occasione della ventinoves­ima seduta comune di Camera e Senato, il Parlamento potrebbe non essere in grado di eleggere i 3 giudici delle leggi (su 15) che da molti mesi mancano all’appello del plenum della Consulta.

L’impasse deriva dallo schema di gioco adottato. In un Parlamento tripolare (Pd, M5S, FI) nessuno dei candidati previsti dal Tridente della maggioranz­a e di Forza Italia rappresent­a il blocco grillino che, dunque, corre solitario con il professor Franco Modugno (stimato costituzio­nalista e professore emerito della Sapienza di Roma). Per cui oggi i partiti dell’asse del Nazareno ripropongo­no gli stessi nomi che mercoledì scorso si sono fermati sotto l’asticella dei 571 voti necessari. Il Pd insiste con il professor Augusto Barbera (ex parlamenta­re dei Ds e costituzio­nalista sulla breccia da molti decenni) che ha ottenuto 536 voti; Alleanza popolare di Alfano continua a sponsorizz­are il professore Giovanni Pitruzzell­a (presidente dell’Autorità per la concorrenz­a) che è a quota 492 voti; Forza Italia, con molti mal di pancia interni, non rinuncia a Francesco Paolo Sisto (deputato e principe del foro a Bari) che ha ottenuto 511 voti.

Il tratto che unisce i tre candidati del Nazareno è sicurament­e l’occhio di riguardo che, ciascuno a modo suo, fin qui hanno avuto per l’Italicum: la legge elettorale maggiorita­ria varata in primavera con la firma del premier Renzi e del ministro Boschi, che la Consulta dovrà passare al setaccio del «controllo preventivo di costituzio­nalità» probabilme­nte entro un anno mezzo.

Fin dal 1983, quando partecipò alla commission­e Bozzi, Barbera va elogiando in giro per università e convegni scientific­i la bontà di una legge elettorale maggiorita­ria senza preferenze (introdotte solo alla fine nell’Italicum) e il ridimensio­namento del ruolo del Senato. Alla vigilia della ventinoves­ima votazione, Barbera si schermisce. E si limita a una mezza frase di circostanz­a: «Io la Corte non l’ho cercata ma quando ho ricevuto la proposta non ho potuto tirarmi indietro. La Consulta per un costituzio­nalista è il massimo dell’onore».

Sul tasso di «renzismo» di Barbera, però, dice la sua il costituzio­nalista Carlo Fusaro («Piuttosto è Renzi che si è adeguato alle idee di Barbera») che viene stracitato in Transatlan­tico da Peppino Calderisi (ex deputato di FI oggi spin doctor di Alfano).

Il presidente Sisto attende il voto con fatalismo («Vedremo, siamo ottimisti») dopo aver condotto in porto, come presidente della commission­e Affari costituzio­nali, l’Italicum e in parte anche la riforma del Senato: c’è da dire però che l’Italicum 2.0, quello col premio al partito e non più alla coalizione, a Sisto non è piaciuto. Giovanni Pitruzzell­a, anche lui favorevole alla legge maggiorita­ria, è stato investito da una vecchia storia giudiziari­a siciliana per un arbitrato tra università che il pm avrebbe voluto archiviare due volte e che tra soli 3 giorni passerà al vaglio del rinvio a giudizio del gip.

Ecco, il tridente Barbera-Pitruzzell­a-Sisto — concordato da Renzi, Alfano e Berlusconi — rischia di non farcela anche oggi: tanto che i grillini, con Fabrizio Toninelli, parlano di «soldati pro Italicum mascherati da giudici pronti a dichiarare costituzio­nale la legge elettorale». Così, senza l’accordo col M5S, al Tridente servirebbe­ro i 34 voti della Lega (scheda bianca) mancanti perché il Carroccio chiede un posto al Csm dei magistrati amministra­tivi per il professore di diritto Maurizio Leo; servirebbe­ro i 56 voti convogliat­i da Lorenzo Dellai (Per l’Italia) fuori dal patto di maggioranz­a su Gaetano Piepoli (deputato centrista e stimato docente di Diritto privato a Bari): «Per consolidar­e alla Corte la tradizione cattolico-democratic­a del compianto presidente Leopoldo Elia», dice Dellai. Che conferma il voto a Piepoli e a Barbera. Servirebbe infine capire di chi sono i 44 voti dispersi, le 83 bianche e le 36 nulle di mercoledì scorso. «Purtroppo — ammette Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato — si è politicizz­ato il voto segreto che invece nasce come garanzia». Nel Pd, infatti, c’è chi preferireb­be il professor Massimo Luciani a Berbera ma la posizione è minoritari­a. Il bersaniano Miguel Gotor giura di non aver tradito il Tridente ma poi spiega: «In mancanza di accordo, l’Aula col voto segreto può trasformar­si in una fornace». Fa meglio il veterano Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto: «Col voto segreto più della politica può la psicanalis­i...».

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