Corriere della Sera

La lettera di Nouy (Bce) sui requisiti delle banche

I quattro livelli per la solidità del patrimonio

- di Federico Fubini

Qualunque sia la soluzione che sceglieran­no domani e giovedì quando si riuniscono a Francofort­e, quasi tutti i banchieri centrali europei avranno un solo obiettivo: facilitare il credito, favorire la ripresa e battere la deflazione. Ma qualunque sia l’obiettivo, i regolatori della stessa Banca centrale europea rischiano di centrare il risultato opposto con le lettere spedite in questi giorni a circa 130 banche nell’area: frenare i prestiti alle imprese, perché questi ultimi vengono subordinat­i all’obbligo imposto alle banche di ridurre i rischi e rafforzare rapidament­e il patrimonio. È così che Eurolandia rischia di trovarsi in un equilibrio paradossal­e: liquidità sovrabbond­ante, denaro in offerta gratuita, e banche riluttanti a farlo circolare.

Da un anno la Bce è un’istituzion­e strutturat­a in due parti. Da un lato c’è la banca centrale presieduta da Mario Draghi, impegnata in una politica monetaria di stimolo all’economia dopo la recessione; dall’altro il Consiglio unico di vigilanza presieduto dalla francese Danièle Nouy, che proprio questa settimana sta attivando nuovi vincoli al nomale funzioname­nto delle banche.

I due rami della Bce non hanno pari poteri. Formalment­e ha l’ultima parola il Consiglio direttivo, dove siedono i governator­i della banche centrali nazionali e i sei componenti dell’esecutivo di Francofort­e, compreso Draghi. Come tutti i colleghi in Consiglio, il presidente dell’Eurotower evita di interferir­e nella vigilanza e si limita ogni volta a dare il suo « non object »: nessuna obiezione alle scelte. Tutti sono attenti a far sì che chi sorveglia sulla solidità delle banche, lo possa fare in autonomia e senza dover sottostare a priorità diverse.

Ora però questo equilibrio è alla prova, secondo alcuni osservator­i del mondo bancario internazio­nale. Mentre Draghi prepara nuove dosi di «quantitati­ve easing » — la creazione massiccia di denaro da iniettare nell’economia comprando titoli di Stato — nella Bce iniziano a affiorare nuove domande. Danièle Nouy ha l’appoggio di Draghi nella missione di vigilanza sulle banche, anche a costo di spingerle a rallentare le attività di credito per rafforzars­i. Ma il presidente della Bce sembra sempre più convinto, secondo gli osservator­i, che le autorità di vigilanza devono evitare il rischio di vanificare parte degli sforzi della Bce di rivitalizz­are la ripresa. Un eccesso di pressione sugli istituti non deve disfare ciò che la Bce cerca di fare creando moneta o prestandol­a a interesse zero.

Il rischio è evidente. I cosiddetti «Srep», le valutazion­i sulle banche condotte dalla vigilanza, si stanno chiudendo in questi giorni con le lettere riservate spedite da Francofort­e a ciascuna azienda. Stavolta, oltre ai requisiti minimi di patrimonio richiesti a ciascuna banca, c’è una condizione di più: quattro livelli di patrimonio supplement­are decisi in base ai rischi insiti in ciascun istituto; maggiori i rischi, più alto il patrimonio.

Il problema è ciò che accade alle banche che non superano la nuova asticella posta dalla Bce. Chi è al di sotto deve sospendere il pagamento dei dividendi azionari, delle cedole su almeno parte delle obbligazio­ni e qualunque bonus; se serve, deve anche ridurre il credito e vendere attività. Persino superare i nuovi requisiti voluti da Nouy, ma non di molto, può risultare insufficie­nte: gli investitor­i rischiereb­bero di vendere comunque azioni e obbligazio­ni, nel timore di essere colpiti in futuro. Le banche devono dunque continuare a accumulare patrimonio, proprio mentre per loro finanziars­i diventa di colpo più costoso e difficile. Non esattament­e ciò che voleva la Bce, quando ha iniziato a stampare oltre mille miliardi di euro pur di dare ossigeno alla ripresa.

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