Io, uno e trino a Napoli (o solo nel suo racconto)
L’hanno battezzata NapoliMovieTour. È l’applicazione, realizzata dall’Ufficio cinema del Comune di Napoli e fornita da Telecom Italia, che consente di estrapolare, interagendovi, itinerari legati ai set di pellicole girate a Napoli. Personalmente non ho dubbi: armato con la bussola di NMTour vorrei ridiscendere le scalinate a gradoni de La pelle e ripopolarle con il brulichio di umanità disumanizzata da Malaparte prima, dalla Cavani poi. Vorrei respirare — senza stancarmi o nausearmi — le adiacenze di Santa Chiara, sulla scorta del Decameron pasoliniano. E poi rintanarmi fra le luci-ombre della funicolare che sale al Vomero, così come in una struggente sequenza de L’amore molesto. O ricalcare i passi di Eleonora che vaga fra i suoi sogni negli interni di palazzo Maddaloni (Antonietta De Lillo, Il resto di niente). Facendo in tal modo l’esperienza di chi, come in una fortunata congiunzione astrale, allinea tre mondi: la realtà materiale, scavata o scalpellata nella pietra; il suo sdoppiarsi in una reinvenzione letteraria; il suo ulteriore smaterializzarsi nella trasposizione filmica. Un triplicarsi incorniciato, in fondo e al principio di questa mise en abyme, nella dimensione virtuale di un’app. Ne ricaverei la conferma vissuta, attraverso le sovrapposizioni della realtà aumentata, di un sospetto covato da tempo: che Napoli, al pari di poche altre città-mondo sue consorelle, non esista di per se stessa. Napoli è, ormai, il racconto che se ne fa; è la reinterpretazione artistica che ne plasma la percezione; è il doppio filmico che, come una pellicola trasparente, la avvolge e la rende, di volta in volta, più trasparente o più opaca del vero. Ormai Napoli, come Borges ha insegnato una volta per tutte, esiste e consiste nel suo doppio consegnato tanto alla biblioteca quanto alla cineteca di Babele.