Corriere della Sera

Il fascino perduto della Formula 1 e il monopolio di Ecclestone

- Di Aldo Grasso

Ennesima doppietta Mercedes con Nico Rosberg che si prende la soddisfazi­one di battere il compagno Lewis Hamilton nell’ultimo Gp della stagione ad Abu Dhabi. Il campionato del mondo di Formula 1 ha chiuso il sipario offrendoci il solito dominio delle Stelle d’Argento, in attesa che la Ferrari possa dire la sua nel 2016. Questa l’ufficialit­à.

Una rottura di... scatole, che non vi dico. Questa la realtà.

Sarà che il sabato si sa già chi vince la domenica, sarà che le Ferrari non vanno come dovrebbero andare, ma lo show della Formula 1 ha perso gran parte del suo fascino. Nonostante tutti gli accorgimen­ti tecnologic­i per personaliz­zare la visione: la super regia, l’on-board, il race tracker, il live timing e molte altre opzioni offerte dalla tv.

Ma quello che non mi va giù è che il prodotto tv (le riprese, i replay, i ralenti, le interviste…) sia gestito da chi organizza la Formula 1, cioè Bernie Ecclestone. È lui il padrone, è lui che decide anche le strategie editoriali con cui offrire il Mondiale auto. Dal 2007 quasi tutti gli eventi sono prodotti e trasmessi dalla FOM, la struttura televisiva di Ecclestone, con la sola eccezione del Gran Premio di Monaco, prodotto da Télé Monte Carlo. L’auto è mia e la gestisco io.

Capisco che ci siano in gioco consistent­i problemi economici, capisco che i singoli network non possano investire in riprese quanto investe la FOM, ma l’idea che non ci sia più una mediazione editoriale nell’offerta tv fatico a digerirla. La differenza la fanno solo i telecronis­ti, ma, come si sa, il rapporto fra regia e telecronac­a è uno dei nodi cruciali del buon esito di un evento sportivo trasmesso in tv.

Ormai la tendenza è diffusa. Persino la Lega Calcio, tramite la regia unica affidata a Infront, è diventata proprietar­ia assoluta del nostro calcio in tv, anche dal punto di vista editoriale. In parole semplici, i padroni dei vari sport, se la suonano e se la cantano. E a noi non resta che applaudire.

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