Samet, dagli inni al proselitismo «Il sangue si riversi sulle strade»
ovunque essi siano. La pace e la misericordia di Allah siano sui musulmani… Allah aiuti e fo r t i f i c h i i mujaheddin. Allah distrugga i kuffar (non credenti o infedeli, ndr) e i loro aiutanti…». Sullo sfondo di questa propaganda, secondo gli investigatori, c’è sempre lo Stato Islamico che tanto affascinerebbe il kosovaro e il macedone; anche dietro il commento di Imishti a una frase del Papa contro il terrorismo: «Stai buono, racconta la verità, che loro verranno in Vaticano».
Fra i «testi sacri» trovati sui computer frequentati dai due sospettati di fiancheggiare l’Isis c’è pure un libro intitolato Le disposizioni su chi insulta il Profeta, e il 7 gennaio scorso (giorno della strage nella redazione parigina del settimanale satirico Charlie Hebdo), Suma ha ricordato su Internet che la punizione prevista per chi sbeffeggia Maometto è la morte. Tuttavia, un po’ in controtendenza rispetto alla rivendicazione dell’attentato, ha pure scritto: «Ci sono tutte le condizioni per dire che questo attacco sia stato compiuto da qualcuno non musulmano, per dare la colpa ai musulmani, nel momento in cui la Palestina sta per essere proclamata Stato indipendente». Ma nei dialoghi successivi alla strage, sotto le foto di due copertine di Charlie Hebdo, Imishti chiedeva polemico: «Dove siete voi albanesi e voi imam che difendevate questi bastardi, che si prendevano gioco di noi?».
L’esaltazione dello Stato Islamico, del Califfato e della guerra combattuta dai mujaheddin costituisce — nella ricostruzione di inquirenti e polizia — il segno evidente di una radicalizzazione che ha già sconfinato nel proselitismo. Anche attraverso minacce diffuse per via telematica che chiunque potrebbe raccogliere e mettere in pratica. Come quella a Tracy Ann Jacobson, ex ambasciatrice statunitense in Kosovo: «L’ebrea americana dice che il nuovo governo combatterà la corruzione… io dico a questa signora che finché loro saranno in Kosovo non esisterà la giustizia… questa miscredente merita la punizione con la Sharia», cioè le leggi che derivano dal Corano. Il 12 ottobre 2009 il libico Game Mohamed, 35enne residente a Milano, fa esplodere un ordigno rudimentale all’ingresso della caserma militare Perrucchetti di Milano. Game rimane ferito. L’uomo seguiva le teorie di Abu Musab al Suri, ideologo del jihadismo globale Game fu condannato (a 14 anni di carcere), insieme ai suoi complici: Abdel Kol (a quattro anni) e Mohamed Israfel (a tre) Nel marzo 2012 la Digos di Brescia arresta Mohammed Jarmoune, 20nne di origini marocchine cresciuto e radicalizzato in Italia. Pubblicava online documenti di propaganda e manuali per costruire armi. E aveva materiale adatto a realizzare bombe. Si sospetta che stesse pianificando un attacco contro la comunità ebraica di Milano. Nel 2013 fu condannato a 5 anni e 4 mesi Alla fine del 2012 Ibrahim Giuliano Delnevo, genovese convertito all’Islam, va a combattere in Siria. Viene ucciso nel giugno 2013. Nell’autunno del 2014 Maria Giulia Sergio (alias Fatima) di Inzago segue il marito albanese in Siria. A luglio viene accusata insieme ai suoi genitori e altri sodali a vario titolo di terrorismo e organizzazione di viaggio con finalità di terrorismo: 10 gli ordini di cattura Il tunisino Lassaad Briki e il pakistano Muhammad Waqas vengono arrestati nel Bresciano a luglio perché ipotizzano attentati in Italia, tra cui un’azione contro la base militare della Nato di Ghedi, a Brescia. Sono gli autori delle foto di propaganda jihadista scattate davanti al Duomo di Milano o al Colosseo a Roma e diffuse sul web ad aprile, per minacciare attacchi nel nostro Paese