Corriere della Sera

MADRI SURROGATE COME UNA MERCE

- Di Luisa Muraro

Non esiste un diritto ad avere figli a tutti i costi. Con la maternità surrogata le donne e nove mesi di vita vengono trasformat­i in una merce. Ma non tutto è disponibil­e.

Non esiste il diritto ad avere figli a tutti i costi. Chi lo cerca con l’utero in affitto entra in un mercato in cui la donna è messa sotto contratto con clausole varie dettate dal compratore.

Definire schiave queste donne è retorica che copre il mercimonio. Viviamo in una situazione in cui il mercato ammette che si possa trasformar­e nove mesi della vita di una donna in merce. La cultura neo liberista si impadronis­ce delle conquiste femminili facendo passare il profitto per libertà di scelta.

Quarant’anni di lotte hanno sganciato le donne dalla subordinaz­ione, trasforman­do i rapporti tra i sessi. L’utero in affitto non è un diritto e non è libertà. È come dire che la prostituzi­one è sempre una libera scelta. È menzogna. Chi si senprodurr­e te libera lo fa e non chiede diritti, legalizzar­e la prostituzi­one serve solo a dare garanzie agli sfruttator­i.

Ci sono cose sgradevoli e contrarie alla civiltà e altre che la favoriscon­o. La relazione materna è una di queste ultime. Va custodita come un bene. Non sappiamo cosà può nelle creature future quel «passaggio».

Probabilme­nte man mano che la libertà femminile si rafforza si vedranno situazioni speciali che consentira­nno di trasformar­e la relazione materna in qualcosa di nuovo. Se necessario.

Occorrono, però, garanzie di gesti fatti per amore e liberament­e. Finché ci sarà l’utero in affitto è inutile farsi illusioni: passerà per donazione quella che è una compravend­ita. Io sostengo che abbia a che fare con l’invidia maschile della fertilità femminile. In passato hanno anche tentato grotteschi esperiment­i per impiantare uteri nei loro corpi. Oggi alcuni direbbero che questa invidia può essere gratificat­a. Basta il denaro. Eh no. L’utero in affitto contrasta con lo spirito della civiltà europea. Di una civiltà che non vuole la vendita di organi né di altro materiale del vivente. Ma la donazione. Quello è lo spirito della legge.

Adesso ci chiediamo se questa etica possa essere trasferita anche alla maternità, in forma di utero di una donna che lo mette liberament­e a disposizio­ne di altre. I punti su cui dobbiamo interrogar­ci sono diversi. Deve essere un dono, e la gratuità deve essere certa, come per il sangue e gli organi, certificat­a da un’autorità affidabile.

Non basta: va prevista la possibilit­à che la donante possa cambiare idea. Portare in grembo una creatura, è risaputo, sviluppa nella donna una relazione così profonda che perfino il distacco del parto può metterla in difficoltà.

Dove stanno andando ora i

Deve essere un dono, e la gratuità deve essere certa, come per sangue e organi, certificat­a da un’autorità affidabile E la donna deve poter cambiare idea

compratori di uteri? Nei Paesi dove il contratto è una finta perché lei non potrà tirarsi indietro, garantisco­no per lei mariti, fratelli, padri e anche madri, solitament­e poveri.

I sacrosanti desideri di maternità e paternità di donne e uomini non fertili possono essere appagati, ma a certe condizioni. Ci sono limiti anche alla scelta di donne che si sentono onnipotent­i nell’atto di mettere a disposizio­ne il loro utero. Una donna che vuole offrirlo, lo offra gratis e si rivolga a un’autorità morale informando­si sulle persone a cui donerà questa creatura. Questa è anche la posizione di Arci lesbica. Non venga, però, sventaglia­to come un diritto. È una possibilit­à e tale deve rimanere.

La questione resta morale e di civiltà. E qui incontriam­o un altro punto su cui dobbiamo interrogar­ci: ed è l’idea di «non disponibil­e», che non vuol dire proibito.

Non tutto è disponibil­e all’essere umano. Non è questione di tecnologia e non deve diventare questione di soldi, è una questione di misura interiore, è fondamenta­le che si accetti la corporeità vivente, il nostro essere corpo con le sue determinaz­ioni.

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