L’Inter in missione per diventare bella Con o senza Icardi
C’è il primato e cresce il gioco. Ma senza il n. 9
Roberto Mancini ha una passione per la chimica delle formazioni, lo scarto minimo, il paddle, i cappotti perfetti e un concetto che ricorda a tutti appena può: «Gli scudetti non si vincono negli scontri diretti». È anche per questo che, nonostante abbia perso con Fiorentina e Napoli, l’Inter è tornata alla guida solitaria della serie A. Perché delle partite «da vincere» ne ha sbagliate solo due con Palermo e Sampdoria, pareggiate 1-1, e perché se può benissimo capitare di cadere al San Paolo non deve capitare di inciampare troppo spesso altrove. In fondo, non la pensava diversamente Sarri quando parlava di Bologna come della «partita più importante dell’anno»: anche lui sa bene che il trucco per arrivare al premio finale è la costanza di rendimento, una certa umiltà e, se possibile, la crescita continua del gruppo.
In questo senso, la vittoria nerazzurra dopo il k.o. di Napoli, e dopo una valanga di pericolosi complimenti, ha una preciso valore simbolico. L’Inter non solo è cinica (otto 1-0), camaleontica (15 formazioni su 15 partite), democratica (a turno ognuno è star), capace di mandare in gol 11 giocatori per farne 18, vischiosa nel fare giocare male gli avversari, eccetera eccetera. L’Inter è pure solida mentalmente, sa reagire ai rovesci e sfuggire alle trappole: lo era per esempio la trasferta col Torino dopo la vittoria con la Roma, lo era sabato con il Genoa. Entrambe le ha evitate vincendo, ovviamente 1-0, ma la seconda persino con una certa estetica.
Ed è questa, adesso, la novità: c’è una manovra che sta prendendo corpo e, a tratti, anche bellezza. Compiuta la fondazione della migliore difesa panchine per Icardi in 14 partite e una volta out per infortunio: 948 i minuti giocati del campionato (9 gol in 15 gare, porta immacolata 10 volte), Mancini ora sta modellando la fase offensiva: i 4 gol con il Frosinone sono stati un primo indizio; il finale in 10 a Napoli è stato il secondo. Contro il Genoa è arrivato il terzo: diverse occasioni da rete, momenti di buona fluidità, interessanti complicità tecniche. Il problema è stato segnare solo un gol e tenere la partita pericolosamente aperta fino alla fine. Un male che l’Inter non riesce ancora a debellare. Il tecnico però ha ragione quando dice che «questo è stato un 1-0 diverso». Cioè, in termini di gioco e continuità, il migliore di tutti.
A questo punto si è già capito qual è l’unica nota negativa. Sabato Icardi è rimasto in panchina e l’attacco «leggero» (Jovetic-Palacio con Biabiany e Nella morsa Miranda e Murillo chiudono sullo juventino Zaza A sinistra, il cambio: esce Icardi, entra Ljajic (Reuters, Inside) Ljajic in fascia) è piaciuto com’era piaciuto a Napoli (Ljajic punta mobile nel 4-4-1 in 10) e come era piaciuto con la Roma, primo esperimento del tridente senza pivot con Perisic assieme a Jovetic e Ljajic. Sommando questi dati con l’attuale condizione psicofisica deficitaria di Maurito e con la natura tecnica dei suoi compagni di reparto, forse è vero che il gioco oggi funziona meglio senza il capocannoniere in carica: Ljajic è un creativo «antico»che porta palla, dribbla e crea, Jovetic ama (a volte troppo) orpelli e triangoli stretti, i tagli di Palacio aprono spazi come lo statico Icardi non sa fare. In questo quadro un 9 che fatica a giocare di sponda e fare salire la squadra non può trovare il posto fisso.
Per Mancini non è un guaio, perché ha le alternative giuste e perché, come un perfetto ministro del lavoro, alla religione del posto fisso oppone fiero quella della flessibilità. La questione, semmai, è l’umore di Icardi, che da indispensabile capitano è diventato primus inter pares. «Quando do la formazione vedo anch’io le facce di chi sta fuori, e li capisco», confessa il Mancio. Ma la sostanza non cambia: Icardi dovrà forse dimenticare i 22 gol della stagione scorsa, aspettando che torni il suo turno e ascoltando il suo allenatore: «Non ha giocato 2 volte su 15, ci può stare avendo tanti attaccanti. Ma lui è centrale come tutti. I gol per conquistare il posto in Champions devono arrivare soprattutto da lui. E lui lo sa. Ciò non toglie che qualche volta possa finire in panchina. È fisiologico». Altrimenti non sarebbe l’Inter. Che altrimenti non sarebbe prima.