Corriere della Sera

L’Inter in missione per diventare bella Con o senza Icardi

C’è il primato e cresce il gioco. Ma senza il n. 9

- Alessandro Pasini

Roberto Mancini ha una passione per la chimica delle formazioni, lo scarto minimo, il paddle, i cappotti perfetti e un concetto che ricorda a tutti appena può: «Gli scudetti non si vincono negli scontri diretti». È anche per questo che, nonostante abbia perso con Fiorentina e Napoli, l’Inter è tornata alla guida solitaria della serie A. Perché delle partite «da vincere» ne ha sbagliate solo due con Palermo e Sampdoria, pareggiate 1-1, e perché se può benissimo capitare di cadere al San Paolo non deve capitare di inciampare troppo spesso altrove. In fondo, non la pensava diversamen­te Sarri quando parlava di Bologna come della «partita più importante dell’anno»: anche lui sa bene che il trucco per arrivare al premio finale è la costanza di rendimento, una certa umiltà e, se possibile, la crescita continua del gruppo.

In questo senso, la vittoria nerazzurra dopo il k.o. di Napoli, e dopo una valanga di pericolosi compliment­i, ha una preciso valore simbolico. L’Inter non solo è cinica (otto 1-0), camaleonti­ca (15 formazioni su 15 partite), democratic­a (a turno ognuno è star), capace di mandare in gol 11 giocatori per farne 18, vischiosa nel fare giocare male gli avversari, eccetera eccetera. L’Inter è pure solida mentalment­e, sa reagire ai rovesci e sfuggire alle trappole: lo era per esempio la trasferta col Torino dopo la vittoria con la Roma, lo era sabato con il Genoa. Entrambe le ha evitate vincendo, ovviamente 1-0, ma la seconda persino con una certa estetica.

Ed è questa, adesso, la novità: c’è una manovra che sta prendendo corpo e, a tratti, anche bellezza. Compiuta la fondazione della migliore difesa panchine per Icardi in 14 partite e una volta out per infortunio: 948 i minuti giocati del campionato (9 gol in 15 gare, porta immacolata 10 volte), Mancini ora sta modellando la fase offensiva: i 4 gol con il Frosinone sono stati un primo indizio; il finale in 10 a Napoli è stato il secondo. Contro il Genoa è arrivato il terzo: diverse occasioni da rete, momenti di buona fluidità, interessan­ti complicità tecniche. Il problema è stato segnare solo un gol e tenere la partita pericolosa­mente aperta fino alla fine. Un male che l’Inter non riesce ancora a debellare. Il tecnico però ha ragione quando dice che «questo è stato un 1-0 diverso». Cioè, in termini di gioco e continuità, il migliore di tutti.

A questo punto si è già capito qual è l’unica nota negativa. Sabato Icardi è rimasto in panchina e l’attacco «leggero» (Jovetic-Palacio con Biabiany e Nella morsa Miranda e Murillo chiudono sullo juventino Zaza A sinistra, il cambio: esce Icardi, entra Ljajic (Reuters, Inside) Ljajic in fascia) è piaciuto com’era piaciuto a Napoli (Ljajic punta mobile nel 4-4-1 in 10) e come era piaciuto con la Roma, primo esperiment­o del tridente senza pivot con Perisic assieme a Jovetic e Ljajic. Sommando questi dati con l’attuale condizione psicofisic­a deficitari­a di Maurito e con la natura tecnica dei suoi compagni di reparto, forse è vero che il gioco oggi funziona meglio senza il capocannon­iere in carica: Ljajic è un creativo «antico»che porta palla, dribbla e crea, Jovetic ama (a volte troppo) orpelli e triangoli stretti, i tagli di Palacio aprono spazi come lo statico Icardi non sa fare. In questo quadro un 9 che fatica a giocare di sponda e fare salire la squadra non può trovare il posto fisso.

Per Mancini non è un guaio, perché ha le alternativ­e giuste e perché, come un perfetto ministro del lavoro, alla religione del posto fisso oppone fiero quella della flessibili­tà. La questione, semmai, è l’umore di Icardi, che da indispensa­bile capitano è diventato primus inter pares. «Quando do la formazione vedo anch’io le facce di chi sta fuori, e li capisco», confessa il Mancio. Ma la sostanza non cambia: Icardi dovrà forse dimenticar­e i 22 gol della stagione scorsa, aspettando che torni il suo turno e ascoltando il suo allenatore: «Non ha giocato 2 volte su 15, ci può stare avendo tanti attaccanti. Ma lui è centrale come tutti. I gol per conquistar­e il posto in Champions devono arrivare soprattutt­o da lui. E lui lo sa. Ciò non toglie che qualche volta possa finire in panchina. È fisiologic­o». Altrimenti non sarebbe l’Inter. Che altrimenti non sarebbe prima.

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