Il mistero cinese del miliardario sparito
Aveva acquisito il Club Med e il Cirque du Soleil. Il titolo crolla in Borsa
Che fine ha fatto Guo Guangchang (nella foto)? Giallo nella finanza. Il miliardario e presidente di Fosun, il Warren Buffett cinese, ha acquisito quest’anno il Club Med, una quota del Cirque du Soleil e, per 345 milioni, Palazzo Broggi a Milano. L’ipotesi dell’arresto per corruzione è la più probabile.
PECHINO Mistero nell’alta finanza cinese e mondiale. Guo Guangchang, il miliardario presidente di Fosun International, è scomparso da giovedì. «Shilian», che vuol dire «si sono persi i contatti», ha scritto Caixin, rivista economica di Pechino molto attendibile».
Shilian» è diventato però un eufemismo per indicare i funzionari governativi e i dirigenti finiti nelle mani della polizia nelle decine di migliaia di inchieste per corruzione lanciate a partire dal 2013 dagli inquisitori del Partito comunista. Secondo le fonti del giornale, Guo Guangchang, 48 anni, laureato in filosofia, è stato visto per l’ultima volta giovedì a mezzogiorno in uno dei due aeroporti di Shanghai, circondato dagli agenti.
Ieri notte, dopo molte ore di silenzio, il Gruppo Fosun ha comunicato che «il signor Guo sta assistendo gli organi giudiziari in indagini e potrebbe partecipare in modo adeguato alle decisioni del Gruppo». Stiamo «gestendo la situazione», ha concluso il vicepresidente Liang Xinjun. Ma intanto i titoli delle aziende della società sono caduti in Borsa, a Hong Kong e Shanghai, e sono stati sospesi.
Fosun quest’anno ha conquistato il Club Méditerranée; ha partecipato all’acquisizione della canadese Cirque du Soleil e ha rilevato una quota del tour operator britannico Thomas Cook. In un altro colpo Guo Guangchang, definito il Warren Buffett cinese, ha comprato a Milano per 345 milioni di euro Palazzo Broggi a Piazza Cordusio, ex quartier generale di UniCredit.
Le caratteristiche dell’uscita di scena di Guo sembrano quelle di un arresto o almeno di un fermo di polizia: e sarebbe il più grosso sulla scena del business privato in Cina. L’imprenditore, con una fortuna personale valutata tra i 4,5 e i 5,6 miliardi di dollari, è il 17esimo più ricco della Cina e il suo gruppo ha in portafoglio asset per 55 miliardi di dollari. L’impero privato di Fosun spazia dall’immobiliare alla finanza, all’intrattenimento e vacanze, all’industria farmaceutica e dell’acciaio, con interessi in Europa e Nord America.
La situazione di Guo è ancora tutta da chiarire. A quanto pare ieri pomeriggio ha potuto comunicare per telefono, ma senza dire dove si trovasse. « Non possiamo fare commenti sensibili che possono avere un impatto in Borsa», ha detto la portavoce di Fosun International Tina Law, assicurando che le operazioni continuano « in modo perfettamente normale». Ma i titoli in Cina sono sospesi e non avere notizie certe su un personaggio del profilo anche internazionale di Guo non è normale. O meglio, è normale in Cina nel clima di santa inquisizione che accompagna la lotta alla corruzione (e non solo a quella).
Ieri notte circolavano voci secondo le quali Guo dopo aver «collaborato» potrebbe essere rilasciato. Si dice che il presidente di Fosun sia in qualche modo coinvolto nell’inchiesta a carico del vicesindaco di Shanghai Ai Baojun, messo sotto inquisizione il 10 novembre dalla Commissione centrale di disciplina comunista e da allora è definito ex membro del Comitato del partito ed ex vicesindaco.
È ormai frequente che personaggi pubblici in Cina scompaiano per giorni e poi si ripresentino come se niente fosse successo. Quindi, anche Guo potrebbe tornare in scena senza capi d’imputazione.
A Pechino, per i funzionari comunisti sotto inchiesta vige il principio dello «shuanggui» che significa doppia previsione: obbligo di confessione entro il tempo previsto e nel luogo previsto. Per i non membri del partito invece si parla di «shuangzhi»: ma il contenuto di durezza non cambia, sempre confessione forzata.
Il 14 dicembre è in programma la riunione annuale dei dirigenti e dipendenti di Fosun: sarà il momento della verità.
Persi i contatti «Shilian» è diventato un eufemismo per indicare dirigenti finiti nelle mani della polizia