Non sottovalutare Trump
Numerosi sostenitori di Donald Trump non sono d’accordo con quello che dice sui musulmani e anche sugli insulti ai messicani. Molti altri hanno criticato le sue sortite offensive sulle donne. E c’è chi non è affatto convinto che il «tycoon» sia davvero un uomo d’affari di rara brillantezza. Incalzati dai sondaggisti e dagli analisti politici che studiano le mutazioni genetiche dell’elettorato americano, quasi tutti i «fan» di Trump sostengono, però, che nulla farà cambiare loro idea: le doti positive che vedono in lui prevalgono sul resto. I risultati delle indagini di questi giorni sono sconcertanti e devono far riflettere chi liquida la (presunta) meteora Trump come un fenomeno da baraccone, un’imitazione del berlusconismo o un neopopulismo a sfondo xenofobo, parente di quelli europei della Le Pene di Orbán. L’immobiliarista diventato stella televisiva che ora punta dritto sulla Casa Bianca ha di certo un’abilità diabolica nel manovrare i «media» («vi fate usare cone degli Stradivari» esclama Jeb Bush davanti ai giornalisti che gli chiedono di Donald) e sfrutta le paure dell’elettorato conservatore soprattutto in chiave antiimmigrati. Ma nella sua impressionante ascesa e nella sua resistenza a tutti gli attacchi c’è molto altro: gli intervistati che lo sostengono spiegano che per loro il senso della «leadership» di Trump (anche se poi in realtà è solo leaderismo: «Fidatevi, so come si fa, sono un vincente nato») e la sua volontà di abbattere il vecchio «establishment» politico sono cose che contano assai più dei programmi, dell’onestà, dell’esperienza, delle buone maniere. Perché le scelte, discutibili ma comunque moderate dei governi, vengano liquidate con disprezzo? La rabbia dei ceti medi impoveriti, certo, ma anche politici che per anni si sono delegittimati a vicenda: così oggi la scelta su Obama è tra chi dice che sbaglia e chi sostiene che mente.