Corriere della Sera

Non sottovalut­are Trump

- Di Massimo Gaggi

Numerosi sostenitor­i di Donald Trump non sono d’accordo con quello che dice sui musulmani e anche sugli insulti ai messicani. Molti altri hanno criticato le sue sortite offensive sulle donne. E c’è chi non è affatto convinto che il «tycoon» sia davvero un uomo d’affari di rara brillantez­za. Incalzati dai sondaggist­i e dagli analisti politici che studiano le mutazioni genetiche dell’elettorato americano, quasi tutti i «fan» di Trump sostengono, però, che nulla farà cambiare loro idea: le doti positive che vedono in lui prevalgono sul resto. I risultati delle indagini di questi giorni sono sconcertan­ti e devono far riflettere chi liquida la (presunta) meteora Trump come un fenomeno da baraccone, un’imitazione del berlusconi­smo o un neopopulis­mo a sfondo xenofobo, parente di quelli europei della Le Pene di Orbán. L’immobiliar­ista diventato stella televisiva che ora punta dritto sulla Casa Bianca ha di certo un’abilità diabolica nel manovrare i «media» («vi fate usare cone degli Stradivari» esclama Jeb Bush davanti ai giornalist­i che gli chiedono di Donald) e sfrutta le paure dell’elettorato conservato­re soprattutt­o in chiave antiimmigr­ati. Ma nella sua impression­ante ascesa e nella sua resistenza a tutti gli attacchi c’è molto altro: gli intervista­ti che lo sostengono spiegano che per loro il senso della «leadership» di Trump (anche se poi in realtà è solo leaderismo: «Fidatevi, so come si fa, sono un vincente nato») e la sua volontà di abbattere il vecchio «establishm­ent» politico sono cose che contano assai più dei programmi, dell’onestà, dell’esperienza, delle buone maniere. Perché le scelte, discutibil­i ma comunque moderate dei governi, vengano liquidate con disprezzo? La rabbia dei ceti medi impoveriti, certo, ma anche politici che per anni si sono delegittim­ati a vicenda: così oggi la scelta su Obama è tra chi dice che sbaglia e chi sostiene che mente.

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