Corriere della Sera

Dalle restituzio­ni ai crediti difficili Il piano del governo in tre mosse

Possibile un decreto legge per intervenir­e sulle aziende cooperativ­e

- di Enrico Marro

La riforma del credito che ieri il presidente del Consiglio ha invocato con «urgenza», al momento, prevede tre tappe. 1) Subito un emendament­o alla legge di Stabilità per rimborsare in parte, con un non meglio definito «fondo con il contributo delle banche», i possessori di obbligazio­ni subordinat­e dei 4 istituti colpiti dalla procedura di risoluzion­e (Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti). 2) Un provvedime­nto, forse un decreto legge, dopo Natale per avviare la riforma delle Bcc, le 370 Banche di credito cooperativ­o, che, seguendo la loro stessa proposta di autoriform­a, dovranno aggregarsi sotto una o più holding. 3) Un provvedime­nto, anche qui si parla di un decreto, da approvare prima possibile (ma i tempi dipendono dal negoziato con la commission­e europea) sulla cosiddetta Bad bank, cioè il o i veicoli finanziari attraverso i quali liberare le banche dal peso delle «sofferenze»: i crediti verso soggetti in stato di insolvenza o equiparabi­le, che ammontano a 210 miliardi, pari al 10,3% dei finanziame­nti concessi (erano il 3,8% nel 2008).

Questi tre interventi, pur rispondend­o a casi tra loro non collegati, puntano tutti a mettere in sicurezza un sistema che ha urgente bisogno di riconquist­are la fiducia delle famiglie e degli operatori. E arriverebb­ero dopo la riforma delle Fondazioni e quella delle Banche popolari, entrambe già avviate. Alla luce dello scaricabar­ile delle responsabi­lità, cui stiamo assistendo in questi giorni, per esempio tra Banca d’Italia e Consob (autorità di controllo sulle società e la Borsa), servirebbe anche qualche provvedime­nto per rafforzare la vigilanza. Ma qui il governo sembra intenziona­to ad affidarsi a ciò che emergerà da una commission­e di inchiesta parlamenta­re che lo stesso Renzi pare incoraggia­re.

La soluzione cui ha solo accennato ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per gli obbligazio­nisti delle 4 banche denuncia la difficile ricerca di un compromess­o con la Commission­e europea che, prima ha impedito il salvataggi­o degli stessi istituti col Fondo interbanca­rio, sostenendo che si sarebbe trattato di un aiuto di Stato (nonostante che, come afferma la Banca d’Italia, il Fondo sia finanziato da risorse private) e poi ha suggerito la via dell’arbitrato già seguita in Spagna in casi analoghi. Una soluzione che sta indubbiame­nte stretta al governo, perché non consente un rapido recupero di consensi presso i risparmiat­ori (e gli elettori) disorienta­ti.

Anche sulla partita più grossa, quella della bad bank, il governo è alla ricerca di un difficile compromess­o con Bruxelles. Il nodo da sciogliere è sempre l’aiuto di Stato, perché la soluzione prevedereb­be una garanzia pubblica di ultima istanza (Cassa depositi e prestiti). Il negoziato va avanti da mesi, non senza punte polemiche. Renzi è spazientit­o, quando pensa a ciò che l’Europa ha consentito agli altri. Alla fine del 2014, gli aiuti di Stato concessi alle banche ammontavan­o a 238 miliardi di euro in Germania, 52 miliardi in Spagna, 42 in Irlanda, 40 in Grecia, 36 nei Paesi Bassi, 28 in Austria, 19 sia in Portogallo sia in Belgio. Di contro, ha ricordato Carmelo Barbagallo (Bankitalia) alla Camera, «era di circa 1 miliardo il sostegno pubblico in Italia, oggi integralme­nte restituito». Due pesi e due misure. Il fatto è che gli altri governi si sono mossi prima. Prima che entrassero in vigore le regole europee, che ora limitano moltissimo l’intervento pubblico. Renzi sta cercando di sostenere che a lui tocca rimediare le conseguenz­e dell’inerzia di chi lo ha preceduto. Ma in politica, si sa, conta il presente.

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