La vitalità del Ghetto in quaranta «monolocali»
I diorami di Cuoghi tra tomi, alambicchi e stracci raccontano uno straordinario esempio di coabitazione
uaranta monolocali, quaranta microcosmi di un mondo speciale, il Ghetto ebraico di Venezia, che sta per compiere 500 anni. Sono i diorami en boîte della mostra-installazione «Vanni Cuoghi: Da Terra a Cielo» alla galleria Giuseppe Pero di Milano (via Porro Lambertenghi 3, fino al 31 gennaio 2016): ritagliate nella carta con tecnica minuziosa — psaligrafia cesellata di collage, china, acquarello —, tra fairy painting e tranche de vie. Un teatro di piccole, grandi storie.
Riccardo Calimani, storico dell’ebraismo, spiega lo spirito del decreto della Serenissima che il 29 marzo del 1516 sancì la nascita del Ghetto a Cannaregio: «La discriminazione cui furono sottoposti gli Ebrei era uno strumento di controllo: si offriva loro il diritto di vivere a Venezia, rinchiusi in Ghetto Nuovo, se in cambio accettavapiù no di diventare prestatori di danaro. Il mondo cristiano si manteneva fuori dall’usura e dall’attività bancaria, ritenute teologicamente detestabili».
Quell’area definita «Corte de Case» e altre adiacenti ospitarono, oltre al Ghetto Nuovo, anche il Ghetto Vecchio e il Ghetto Novissimo, quest’ultimo creato nel 1633 per accogliere nuove famiglie utili, con i loro prestiti, a rimpinguare le depauperate casse della Repubblica. In questa zona ebbero così origine accorpamenti e stratificazioni, non solo architettoniche. Si intrecciarono lingue, riti, usanze, attività economiche, esperienze storiche fra le L’esposizione a Milano anticipa le celebrazioni a Venezia per il rione creato a Cannaregio disparate. Popolazioni ebraiche provenienti da tutto il Mediterraneo e dal Nord dovettero convivere in edifici molto alti per lo skyline lagunare (fino a otto piani), che spiccavano nettamente fra case basse, monasteri, e giardini: «Una sorta di Manhattan dovuta all’estensione territoriale limitata — sottolinea Cuoghi — che ha assistito a una concentrazione altissima di persone».
L’accesso al Ghetto Nuovo avveniva dai sottoportici a cunicolo che sfociavano nella corte centrale (Campo), palcoscenico d’eccezione per le finestre delle abitazioni qui affacciate. Le case, scandite internamente da tramezzi e scale in legno, costituivano un labirinto dove si depositavano memorie, leggende, misteri. Ad affascinare Cuoghi, in particolare, sono i segreti celati in questi «condomìni»: da terra a cielo, come recita il titolo della mostra. Per i suoi racconti ricorre però anche
Il rabbino Il Monolocale 20 (La Verità), una delle opere di Vanni Cuoghi in mostra a Milano
a digressioni oniriche: tra passato e presente, tradizioni culturali e commerciali, arte e fumetto, illustrando frammenti di vita con toni surreali. Nel Monolocale 20 (La Verità), un rabbino (Leone da Modena?) si aggira fra antichi tomi del sapere ebraico, alambicchi d’alchimista e simulacri grotteschi alla Alfred Kubin. Il medico e l’usuraio, figure emblematiche del Ghetto, sono delineate in Monolocale 22 e in Monolocale 23: il primo è presentato alle prese con un appestato (nel
1575 e 1630 le più gravi pestilenze a Venezia); il secondo fa i conti tra sacchi di monete, oggetti dati in pegno, registri, ratti in festa. In Monolocale 21 sono raffigurati cumuli di «strazzeria», ovvero abiti usati, di cui gli Ebrei furono apprezzati mercanti. Ma ecco in Venere del Gheto Novo, ancora in tema di strazzeria, una citazione con effetto straniante: la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto è trasposta qui in chiave veneziana. Infine, la contaminazione letteraria. In Monolocale
30 (Melchisedec) Corto Maltese, personaggio-cult delle storie di Hugo Pratt, assiste all’apparizione sull’altare della Sinagoga Spagnola di Melchisedec, imperscrutabile figura sacerdotale dell’Antico Testamento. In «Favola di Venezia», Pratt inscenò proprio nel Ghetto, in Calle dei Marrani a San Geremia, le vicissitudini di Corto Maltese in cerca della clavicola di Salomone, enigmatico talismano.