Comprare casa? È ritrovare un luogo, alla maniera di Proust
erchiamo sempre di a g i r e con grande senso di responsabilità, mettendo la cultura, il rispetto per il lavoro e per il territorio al servizio delle persone. Le azioni quotidiane diventano così idee che contribuiscono a un dibattito sul nostro presente». Con queste parole Miuccia Prada, coamministratore delegato del Gruppo Prada (con Patrizio Bertelli), commenta al «Corriere della Sera» il lancio, lunedì 14 dicembre, del sito (http:/ /csr.pradagroup. com) che il Gruppo Prada ha scelto di dedicare proprio «alla responsabilità sociale». Simbolo di un progetto più ampio che idealmente unisce la passione per l’arte (tra i prossimi appuntamenti della sede milanese della Fondazione a Largo Isarco, una rassegna cinematografica dedicata a Alejandro González Iñárritu, una mostra su Goshka Macuga e una curata da Thomas Demand) e l’attenzione «per la società civile».
Il sito intende raccogliere una serie di informazioni e di case histories sviluppati in questa direzione; alcuni sono progetti recenti, altri nuovissimi e non ancora approfonditi con la stampa, altri più noti o portati avanti negli anni di storia. E la stessa presentazione ufficiale, in programma lunedì alle 11 all’interno del cinema della Fondazione progettata da Rem Koolhaas, vuole trasmettere già un’idea diversa, in qualche modo più aperta alle realtà « diverse » rispetto a quelle comunemente legate alla moda: si tratta di un «forum» al quale sono invitati a partecipare anche gli studenti delle università milanesi e relatori «esterni».
Dunque per la prima volta il Gruppo Prada (che mette insieme Prada, Miu Miu, Church’s, se vi dicessero che, quando comprate una casa in realtà non state precisamente acquistando un’abitazione, bensì un luogo? E che quel luogo lo avete già abitato, in qualche modo, non necessariamente con il corpo ma con una sorta di memoria ancestrale che vi portate dentro? Cose che avvengono regolarmente in certi romanzi, dove dal luogo scaturisce il carattere ( e dunque il destino) di qualcuno. Ma stavolta a parlare così non è un romanziere.
È un economista specializzato in tecniche di marketing che si chiama Riccardo E. Grassi e che, per Manni, ha scritto Antropologia immobiliare, un interessante librino che scandaglia le dinamiche (complesse) che ci spingono ad acquistare questa piuttosto che quella casa. E i risultati sono bizzarri. Se infatti, ragionevolmente, si ritiene che la maggior parte delle persone individui la casa adatta (per costo, dimensioni, architettura o vicinanza ai servizi pubblico) e poi la «insegua» sul territorio, adattandosi alle varie zone, pare che nella realtà spesso le cose vadano diversamente.
Quello che più incide (oltre naturalmente a molte altre variabili) è, a detta di Grassi, il fattore «L»: il luogo. «Le persone si interessavano agli appartamenti in vendita — annota lo studioso — purché la porzione immobiliare che intendevano abitare fosse nel luogo che avevano in mente. E non parliamo di un luogo a caso, vagheggiato o conosciuto per sentito dire». No, un luogo in parte conosciuto, anche per vie indirette (spesso nella prima parte della vita). E si comprende allora il senso sottile di tutto questo: torniamo a impossessarci di nuovo di quello che abbiamo vissuto. «Anche il prezzo — precisa Grassi — può passare in secondo piano, rispetto a questa esigenza di tornare a riappropriarci di un luogo». Poco alla volta emerge un messaggio tanto profondo quanto (questo sì) letterario: anche nell’acquisto più razionale della nostra vita, quello che determinerà le nostre condizioni economiche per anni a venire, ci affidiamo non a un calcolo accorto e previdente del nostro futuro, ma alla cosa che meglio conosciamo: il passato. Un passato proustiano, denso non di banali ricordi, ma di cose reali, mai sparite: basta il sapore di un pasticcino a farle rivivere — in modo paurosamente concreto.