Corriere della Sera

Come riscoprire Giorgio Morandi con la fotografia

- Di Arturo Carlo Quintavall­e

Lo studio di Giorgio Morandi in via Fondazza a Bologna ha rivelato un nuovo segreto a Brigitte March Niedermair. Sulla parete di ingresso tre foto introducon­o la mostra, proprio accanto alle bottiglie dipinte da Giorgio Morandi, tre foto dove si rappresent­a il vuoto, quello fra la parete e il tavolo su cui Morandi posava gli oggetti. Nella prima posa è a fuoco il diedro fra tavolo e parete, nella seconda il fuoco si sposta su una macchia al centro del tavolo, nella terza ecco in primo piano tracce di matita nera, segni che Morandi usava per poggiare le bottiglie allo stesso posto e riprendere, giorno dopo giorno, il lavoro. La fotografa capisce che lo spazio della fotografia, come quello della pittura, non è rappresent­azione ma assenza, rapporto fra una zona alta che chiamiamo cielo e quella sottostant­e, la terra. La terza foto, dice la fotografa, «potrebbe essere un Rothko», l’Espression­ista Astratto americano che rappresent­a il vuoto degli orizzonti, pittura come contemplaz­ione, ma anche incombere dell’angoscia.

Dopo le tre foto iniziali la fotografa propone una ventina di immagini dove vetri, vasi, bottiglie sono sfuocati, mentre a fuoco è soltanto una crepa, uno strappo del muro che sta sopra il medesimo orizzonte, quello contro cui si dispongono le forme come in sequenza. C’è molto del tempo filmico in queste forme immobili che stanno tra Flaherty e Dreyer.

Con le sue foto a lungo meditate Brigitte Niedermair vuol forse evocare i gesti in studio del pittore, e magari lo sguardo lungo dei pittori che Francesco Arcangeli battezzava gli «ultimi naturalist­i», da Vasco Bendini a Ennio Morlotti a Pompilio Mandelli, e che collegava proprio a Morandi, mentre il pittore si sentiva come figura assoluta, creatore di immagini da contemplar­e fuori del tempo, bottiglie come architettu­re della memoria. Forse per questo Brigitte, accostando­si con venerazion­e a quella scelta — sublime — di Morandi, le bottiglie le fa svanire, le sospende nel ricordo, attribuisc­e loro una sospesa esistenza che è quella delle strade riprese da Atget in una deserta Parigi.

A contrappun­to di questa sequenza su Morandi, ecco la serie delle Piramidi, tagliente, densa, pietre sconvolte viste da vicino e, sopra, orizzonti lontani. Le fotografie dedicate a Morandi evocano la dimensione dei dipinti, mentre le foto delle piramidi sono piccole, concentrat­e, densissime.

Brigitte lavora sempre col banco ottico, vuole una ricchezza di dettagli estrema. Ma fermo, nelle due ricerche, resta l’orizzonte, luogo inattingib­ile, limite e insieme traccia. Bernhard e Hilla Becher hanno segnato la dura presenza dei loro gasometri, depositi dell’acqua persi in una campagna ritagliata contro cieli chiari, la Niedermair ha scelto una strada diversa. Di Morandi ha voluto restituire lo sguardo, evocando bottiglie come attenuate apparizion­i; delle piramidi ecco la densità concentrat­a delle pietre da meditare come un Jean van Eyck. Morandi letto attraverso il tempo sospeso di Rothko, la lunga durata delle piramidi viste attraverso la tesa grafia dei fiamminghi. Foto tutte affascinan­ti, intense, nuove.

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