Corriere della Sera

Il fuoco dei ragazzi «fauves» alle prese con un secolo insolito

In mostra il confronto tra i pionieri del Novecento

- Di Melisa Garzonio

Al contrario di uno dei suoi colleghi più ammirati Henri Matisse non era un esibizioni­sta, o un pericoloso narcisista. Poche passioni, quanto alle donne: meglio una modella in posa da odalisca, che un’odalisca che ti venera come un dio sempre in giro per casa — successe a Picasso con qualche moglie e amante e finì in tragedia.

Matisse era piuttosto «l’ansioso, il follemente ansioso», come si sussurrava a Parigi nei cenacoli dei colleghi Fauves (Belve), i pittori dalla pennellata impetuosa di cui era considerat­o il padre nobile. Nato nel 1869 a Cateau-Cambrésis, al confine con le Fiandre, Matisse si presentava come un uomo tranquillo, piuttosto avaro a raccontar di se stesso. C’è una foto «storica» di Brassaï che lo ritrae nel suo atelier parigino, con gli occhiali spessi, la cravatta e il gilet nascosti dal lungo camice bianco. Un tipo incolore, insomma, un travet, si direbbe oggi. «Sono figlio di un commercian­te di sementi, al quale avrei dovuto succedere nella gestione del negozio», racconterà. Ma sotto l’abito inamidato batteva un cuore in tempesta. Matisse sognava una vita in viaggio: «La révélation m’est venue d’Orient», scriveva nel 1947 al critico Gaston Diehl. Marocco e Algeria saranno le sue mete preferite, il deserto e le belle odalische contribuir­anno a raffinare, negli anni, lo spiccato e innato amore per l’esotico. Lo spirito vagabondo di monsieur Matisse è centrato in pieno nella mostra quasi biografica Matisse e il suo tempo, che apre oggi a Palazzo Chiablese di Torino.

Concepita e curata da Cécile Debray, responsabi­le delle collezioni Matisse presso il Musée national d’Art moderne-Centre Pompidou, comprende 50 opere di Matisse e 47 di artisti a lui coevi, come Picasso, Renoir, Bonnard, Modigliani, Miró, Derain, Braque, Marquet, Léger. Se nelle prime s’indovina il personalis­simo gusto per l’arabesco e la decorazion­e giocosa, magica del maestro della Joie de Vivre (celebre dipinto del 1906), nelle altre si respira l’air du temps, a Parigi, negli anni del ritorno al classicism­o degli anni Venti e durante la svolta modernista degli anni Trenta che culminerà nelle tecniche dell’astrattism­o e dell’espression­ismo astratto.

È una storia densa di momenti coinvolgen­ti, che mette in scena non un solo protagonis­ta (Matisse) ma un complesso passaggio di confronti e influenze reciproche. «La coesione tra i pittori fauves si crea negli anni di formazione comune, in un contesto artistico in mutamento — spiega Debray —. I futuri esponenti del movimento, tutti nati intorno agli anni 80, si ritrovano fra l’atelier di Gustave Moreau (Matisse, Marquet, Manguin, Camoin) e quello di Eugène Carrière presso l’Académie Camillo (Derain, Puy, Marquet, Laprade)». Opere-capolavoro di

Matisse quali Icaro (della serie Jazz del 1947), Grande interno rosso (1948), Ragazza vestita di bianco, su fondo rosso (1946) sono mese vis-àvis con celeberrim­e tele di Picasso ( Nudo con berretto turco, 1955), di Braque ( Toeletta davanti alla finestra, 1942), di Léger ( Il tempo liberoOmag­gio a Louis David, 1948-1949).

Una vita per l’arte? Pochi immaginano che Matisse trascorse la prima giovinezza in un incolore studio legale di Saint-Quentin. E sarebbe probabilme­nte diventato un bravo avvocato, se durante una lunga convalesce­nza che nel 1890 lo costrinse a letto per quasi un anno non si fosse manifestat­a, prepotente, la vocazione alla pittura. Una volta ristabilit­o dimenticò le aule dei tribunali, ripose i faldoni nei cassetti e cominciò seriamente a dedicarsi alla pittura. Decise di frequentar­e il maestro più in voga del momento, il simbolista Gustave Moreau. Due anni dopo si iscrisse all’École des Beaux Arts, dove insegnavan­o i migliori Orientalis­ti. E questo aiuta a capire, forse, com’è cominciata, per Matisse, l’incontenib­ile passione per l’esotico.

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Il palazzo della mostra Del XVI secolo, tra stucchi, arazzi e lampadari fino al 1985 è stato sede del Museo del Cinema. È patrimonio Unesco dal 1997

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