Il duello al sole con Picasso La regia è di Gertrude Stein
Caldo relax Una celebre foto di Henri Cartier-Bresson, datata 1944, parte di un servizio scattato a Ville Le Rêve, la residenza per artisti di Vence, nel Sud della Francia, dove Matisse visse dal 1943 al 1949 si guarda intorno: questa casa è piena di suoi quadri, il Fauvismo è una sua creatura. Che cosa pensa di fare quello spagnolo? Eppure quel Picasso le ha fatto un ritratto e quando lei gli ha detto che non le rassomiglia, lui non si è scomposto: «Non preoccuparti, sarai tu che presto comincerai ad assomigliargli».
Bene. Le piace tutto questo. Lei, Gertrude, non ama le rassicurazioni borghesi. Salvo quando pensa a Alice Babette Toklas: un’americana bruna, segaligna, intelligente, che si è appena trasferita a Parigi. Vorrebbe chiederle, magari con indifferenza, servendo il tè: «Vuoi sposarmi?» (lo farà: formeranno una delle prime serene, fedeli coppie apertamente lesbiche della storia).
E ben nascosto in un cassetto tiene un romanzo all’epoca impresentabile: la storia di un triangolo amoroso al femminile, da lei, peraltro, vissuto in prima persona all’università. Per il resto, «Gertrude è Gertrude è Gertrude» (sì, la questione della tripla rosa è sua, emblema dell’identità inconfutabile delle cose): ama sparigliare, dividere, nutrire un disordine che in realtà è orchestrato da una regia invisibile — la sua. Chissà, pensa, potrei far capire a Matisse che, in fondo, quel ritratto di Picasso mi è piaciuto.
Lo farà. E Matisse comincerà a cercare nuovi linguaggi, a studiare più a fondo Cézanne e l’arte africana: come estrarre dalle figure quella poesia scomposta e precaria che tanto rassomiglia al Novecento? Ricerca coeva A sinistra, «Nu bleu, Souvenir de Biskra»: Henri Matisse lo realizzò nel 1907, cercando di assorbire gli stilemi dell’arte etnica e della pittura di Cézanne. A destra le «Demoiselles d’Avignon», dipinte nello stesso anno da Pablo Picasso Nel 1907 trova la chiave, peraltro bene illustrata nella mostra torinese: un’odalisca ( Nu bleu, souvenir de Biskra). Una sensualità meno rarefatta, con i contorni definiti, la posa lasciva. Un timido affaccio verso quel mondo ostile che in fondo lui non voleva vedere.
Picasso risponde con la violenza dell’avanguardia: Les Demoiselles d’Avignon, dello stesso anno, sono la contraerea cubista con cui colpisce la «vecchia» ricerca formale. È come se, in quei sabato sera, tra i tappeti, i fumi e l’alcol lo spagnolo scuotesse il francese: «Ma come fai a non vedere che il mondo è già oltre — pare dirgli —? Che è ora di cambiare?». Ecco, forse Gertrude aveva capito questo: che quel duello era cruciale nell’arte moderna e che avrebbe trasformato per sempre i connotati non solo della pittura ma di un intero secolo (oltre che del conto in banca di famiglia: litigi futuri a parte, gli Stein, compreso l’altro fratello Michael, diventeranno tra i massimi collezionisti del ‘900).
Matisse ribatterà tempo dopo. Con la presenza-assenza che lascerà aleggiare dopo la sua morte sulle opere del rivale. Picasso dirà: «Lui mi ha lasciato in eredità le odalische. È tutto quello che so dell’Oriente, pur non essendoci mai stato». Forse è questa la lezione del borghese Matisse: una rivoluzione è una rivoluzione è una rivoluzione.