Corriere della Sera

Dalle dive agli stucchi L’istinto di mostrarsi

- Di Enrico Caiano

Mostra e si mostra. E lo fa da quasi sessant’anni. Palazzo Chiablese, bene Unesco dal 1997, accoglie da oggi, nei locali che videro amori e intrighi della nobiltà savoiarda, il genio pittorico dell’ultra-borghese Matisse. Ospitare tesori e offrirli agli sguardi è una vocazione che lo caratteriz­za dalla metà del secolo scorso, quando, nel dopoguerra, l’edificio ormai del Demanio divenne sede del Museo del Cinema: era il 1958. Era stato costruito 400 anni prima dal duca Emanuele Filiberto di Savoia, dono alla sua amante. Mostrare i reperti più rari di quando — a inizio Novecento — Torino era una Hollywood sul Po ben antecedent­e a Cinecittà, è stato fino al 1985 il vanto di questa dimora signorile, tutta stucchi, affreschi e imponenti lampadari. Poi il mito del cinema muto dei divi e del suo primo kolossal (quel Cabiria di Pastrone e D’Annunzio girato in città con ventimila comparse) sbiadì. Il racconto italiano della settima arte aveva ormai bisogno di ambientazi­oni meno tradiziona­li e più interattiv­e. Era il 1985: il sogno del cinema si sposò con gli spazi magici della Mole e Palazzo Chiablese ricominciò a mostrarsi. Divenne la sede della Direzione regionale dei Beni culturali e i volontari del Touring Club lo hanno presto inserito tra i 31 monumenti della decennale iniziativa di visite guidate per i turisti, «Aperti per voi». Ma da qualche tempo le stanze che diedero i natali alla prima regina d’Italia, Margherita, e negli anni di dominazion­e francese ospitarono la vita coniugale (e non) di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone (Montanelli scrisse «l’unica Bonaparte che preferiva l’amore al potere e lo faceva con tutti, qualche volta anche con il marito»), hanno ripreso a mostrare. Grandi capolavori: le linee aristocrat­icomondane di Tamara de Lempicka tra marzo e agosto, e da oggi a maggio le magnifiche donne dai contorni marcati di Matisse.

Un gran freddo. La Rive Gauche che si quieta in un’alba brumosa di primo Novecento. Leo è di là che dorme. È in quest’ora solitaria che Gertrude Stein guarda il suo salotto in disordine e riflette: Braque è stato di umor nero tutta la sera, Matisse non ha detto una parola, un po’ tutti sono stati sopraffatt­i da quel ventiquatt­renne di Malaga. Quel Picasso, piccolo, scuro e un po’ spaccone che va dicendo «Zitti tutti, sto inventando l’arte moderna».

Bene. Questa casa affollata in rue de Fleurus 27, questo caos fatto di parole, polemiche, alcol e fumo, rivalità eccellenti, questo mondo la contiene. È un personalis­simo teatro che Gertrude aveva messo in piedi nel 1904, quando, trentenne, aveva lasciato San Francisco, gli studi pigri di medicina, la ricchezza di famiglia e aveva raggiunto il fratello Leo a Parigi. Com’è diverso Leo, pensa Gertrude sedendo alla scrivania. Lui, allievo di Bernard Berenson, nel 1902 ha comprato il suo primo Cézanne. E adesso segue con attenzione quel sempre meno silenzioso duello che ogni sabato sera, in rue de Fleurus 27, si consuma tra tappeti e stampe antiche: Matisse contro Picasso. No, anzi, riflette Gertrude: è Picasso che provoca, punzecchia (stimola?) Matisse.

Matisse, un gran signore: 36 anni, felicement­e sposato, ha successo, sensibilit­à, il rigore della nordica Piccardia. Gertrude

Nel salotto parigino

L’intellettu­ale gestì abilmente la rivalità. Finendo per stimolare il genio di entrambi

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