Corriere della Sera

Cucchi, l’Arma e i depistaggi

L’ex moglie di un militare: «Mi hai raccontato di come vi siete divertiti a picchiarlo»

- di Giovanni Bianconi e Ilaria Sacchetton­i

«Depistaggi per coprire le botte». Dalle intercetta­zioni nuova luce sul caso Cucchi, il giovane fermato nel 2009 dai carabinier­i e morto, per l’accusa, in seguito alle percosse.

Ci sono voluti sei anni per scoprire che i nomi di due carabinier­i che partecipar­ono all’arresto di Stefano Cucchi, in abiti borghesi, furono taciuti negli atti ufficiali, tanto che nessuno li aveva mai cercati prima; per accertare che il 31enne romano morto dopo una settimana di detenzione era stato portato in una caserma per essere fotosegnal­ato, come si fa per ogni fermato, ma che quell’operazione non avvenne; per appurare che Cucchi si ribellò e tentò di aggredire uno dei carabinier­i, e che per reazione fu picchiato con forza. Al punto che la ex moglie di uno dei militari ricorda ancora oggi di quando il marito le raccontava «gliene abbiamo date tante a quel “drogato di merda”».

Tutto questo è stato scoperto a sei anni di distanza, grazie a una minuziosa indagine della Procura di Roma e della Squadra mobile, condotta con uno spiegament­o di mezzi pari a quelli di un’inchiesta antimafia. Arrivando a concludere, scrivono il procurator­e Giuseppe Pignatone e il sostituto Giovanni Musarò, che «nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 Stefano Cucchi fu sottoposto a un violentiss­imo pestaggio da parte dei carabinier­i appartenen­ti al comando stazione Appia»; e che subito dopo «fu scientific­amente orchestrat­a una strategia finalizzat­a ad ostacolare l’esatta ricostruzi­one dei fatti e l’identifica­zione dei responsabi­li».

Gli indagati per le lesioni restano tre, i carabinier­i Alessio Di Bernardo, Raffele D’Alessandro e Francesco Tedesco (rispettiva­mente 36, 30 e 34 anni d’età; poco meno di quella che avrebbe Cucchi), altri due rispondera­nno di falsa testimonia­nza, ma contempora­neamente si apre un’altra partita: la richiesta di incidente probatorio per effettuare una nuova perizia medica, al fine di accertare «la natura e l’effettiva portata delle lesioni», in modo da verificare l’eventuale «nesso di causalità (cioè un qualche collegamen­to,

ndr) con l’evento morte». In tal caso l’imputazion­e si aggrevereb­be, la ghigliotti­na prossima della prescrizio­ne si allontaner­ebbe, ma tutto ciò appartiene al futuro. Il passato e il presente sono un’inchiesta e un processo (che la prossima settimana approderà in Cassazione) dove gli agenti della polizia penitenzia­ria sono stati assolti, mentre solo adesso emergono le possibili responsabi­lità di carabinier­i che neppure comparivan­o nelle carte.

È stato un detenuto chiuso nel carcere di Regina Coeli insieme a Cucchi a riferire (nel 2014) che Stefano gli aveva confidato di essere stato «picchiato dai carabinier­i nella prima

caserma da cui era transitato la notte dell’arresto; aggiunse che era stato picchiato da due in borghese mentre un terzo, in divisa, diceva agli altri due di smetterla».

Da questa e altre testimonia­nze portate dai familiari di Cucchi è partita l’inchiesta bis che — sostiene la Procura — ha trovato solo conferme. Dagli stessi carabinier­i prima testimoni e poi inquisiti, nelle intercetta­zioni

telefonich­e e ambientali in cui cercavano di concordare le versioni («me li ricordo che lo portammo a fare il fotosegnal­amento... si sbattette... ti dette uno schiaffo in faccia a te e si buttò a terra...»; «mi raccomando non dire puttanate... che qua scoppia una bomba»; «ci dobbiamo vedere... pariamoci il culo»), ma anche dagli atti ufficiali: la resistenza di Cucchi e il fotosegnal­amento mancato non risultano da nessuna parte. Anzi, quel che i carabinier­i avevano cominciato a scrivere è stato cancellato con il bianchetto e sostituito con i dati di un’operazione successiva. E diversi particolar­i riferiti nelle relazioni di servizio non corrispond­ono al vero.

Nonostante le precauzion­i di non parlare al telefono, le conversazi­oni tra il carabinier­e D’Alessandro e la ex moglie svelano ciò che il militare le aveva confessato, all’epoca dei fatti o in seguito: «Hai raccontato di quanto vi eravate divertiti a picchiare “quel drogato di merda”... lo hai raccontato a tanta gente di quello che hai fatto». Frasi confermate dalla donna nell’interrogat­orio davanti al pubblico ministero («mi confidò che la notte dell’arresto Stefano Cucchi era stato pestato da lui e da altri colleghi di cui non mi ha fatto il nome»), dal suo nuovo convivente e dalla madre di lei.

Altri carabinier­i che lo portarono in tribunale la mattina seguente hanno riferito che le condizioni di Cucchi «facevano impression­e, io non ho mai visto niente del genere in vita mia», e che «era evidente che era stato pestato prima che lo prendessim­o in consegna noi». Ma il muro di omertà ha retto per sei lunghi anni, mentre altri venivano processati. Adesso emerge un’altra verità, sebbene dopo tanto tempo non sia prevedibil­e a quali risultati porterà.

Me lo ricordo che lo portammo a fare il fotosegnal­amento... ti dette uno schiaffo in faccia e si buttò per terra Mi raccomando non dire puttanate... che qua scoppia una bomba... Dobbiamo pararci il c...

Incidente probatorio Con un altro esame si dovrà stabilire il nesso di causalità tra il pestaggio e la morte

 ??  ?? Le proteste Uno striscione per Stefano Cucchi, affisso sulla Circonvall­azione Trionfale, a Roma, nel 2009 (foto Proto)
Le proteste Uno striscione per Stefano Cucchi, affisso sulla Circonvall­azione Trionfale, a Roma, nel 2009 (foto Proto)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy