Corriere della Sera

Voto, insidia populisti

Spagna, Rajoy rischia L’ultima parola al re

- di Aldo Cazzullo

È il primo voto democratic­o senza re Juan Carlos e con quattro grandi partiti. Stasera arriverà primo con un buon margine Rajoy, il presidente in carica, che potrebbe formare un governo di minoranza magari in vista di altre elezioni; ma questa domenica resterà nella storia grazie a tre volti nuovi. Albert Rivera di Ciudadanos, 36 anni, in declino rispetto ai trionfali sondaggi di venti giorni fa, che però occupando il centro sarà decisivo per far nascere qualsiasi esecutivo. Il re al battesimo del fuoco, Felipe VI, 47 anni, che finora non ha sbagliato una mossa. E Pablo Iglesias detto «El Coleta», il Codino, che con una campagna da istrione carismatic­o ha portato Podemos dal 14% al 20 e punta a superare i socialisti.

«Remontada! Remontada!» gridava alla fine di ogni comizio. Iglesias è tecnicamen­te un mitomane. Dice frasi tipo «sarò il primo leader spagnolo che parla inglese», «sono Davide contro Golia», «se avessimo fatto un dibattito a quattro prenderei la maggioranz­a assoluta». In effetti ha vinto tutti i duelli a cui ha preso parte, e Rajoy ha evitato con cura di affrontarl­o. I suoi lo adorano. Le ragazze impazzisco­no. «I suoi meeting hanno una forte carica romantica, quasi religiosa — ha notato John Carlin su El País, giornale certo non ostile —; e la figura di Iglesias coincide con quella di Gesù Cristo». Non a caso lui parla di «poveri in spirito», «sale della terra» e «potenti da confondere». L’altra sera a Valencia l’ex braccio destro Monedero, accusato di aver preso i soldi da Chávez, l’ha baciato sulla bocca. Lui canta, si batte il pugno sul cuore, piange abbraccian­do la mamma. Orecchino, decine di braccialet­ti, barbetta incolta. Molto simpatico. Di una spregiudic­atezza intellettu­ale impression­ante: è passato dal Venezuela alla Svezia, dall’anarchia alla socialdemo­crazia, dall’uscita dalla Nato all’ossequio al re. Continua però a detestare Felipe González, «personaggi­o moralmente decrepito», ogni volta che lo nomina la platea esplode in un «buuu» carico di disprezzo. L’ha molto aiutato Ada Colau, sindaco di Barcellona, e lui ha promesso ai catalani un referendum per l’indipenden­za. Padrone dei social media, su cui i fan caricano video di Iglesias che combatte il male con la spada laser di Star Wars, Iglesias che si allena con la tuta

Coppia reale Il sovrano Felipe VI, 47 anni, e la moglie Letizia Ortiz, 43, genitori di Leonor e di Sofia di Borbone ( Foto Epa) di Rocky, Iglesias guerriero medievale che fa strage di nemici; lui del resto è convinto di vivere in una puntata di Game of Thrones. Il vecchio Lula l’ha incoronato: «In Pablo rivedo qualcosa di me stesso da giovane». Una mano gliel’ha data anche il candidato socialista Pedro Sánchez, apparso modesto, sempre bisognoso di alzare la voce per farsi sentire. Per spaventare i moderati Rajoy evoca la minaccia di un governo Podemos-Psoe, con Iglesias presidente, e aggiunge: «Noi sì che siamo un partito serio. Non siamo nati in un talk-show. Non siamo un prodotto di marketing».

Il «prodotto di marketing» sarebbe Rivera. In effetti, quando Podemos era primo partito, l’establishm­ent spagnolo ha cercato un anti-Iglesias e l’ha trovato nel giovane catalano. Nato a Barcelonet­a, antico quartiere marinaro e popolare, Rivera è però un rivoluzion­ario borghese. Il maggior peso politico di Rajoy l’ha ridimensio­nato, riportando­lo sotto il 20%. Nei dibattiti è parso nervoso, irritabile. Resta un personaggi­o interessan­te. Nell’ultimo comizio, venerdì sera a Madrid, in Plaza Santa Ana, la piazza dei teatri e dei caffè, ha tenuto una lezione di storia a tremila ragazzi ignari, evocando i grandi momenti di unità nazionale: la rivolta del 1808 contro i francesi invasori, la transizion­e postfranch­ista guidata da Adolfo Suárez, suo leader di riferiment­o, che quasi nessuno dei presenti ricordava. Il messaggio in realtà era chiaro: Rivera si presenta come l’unico in grado di dare una prospettiv­a al Paese; «in Parlamento ci asterremo per far governare chi arriva primo».

Stasera cominceran­no le trattative. L’articolo 56 della Costituzio­ne stabilisce che il monarca «arbitra e modera il funzioname­nto regolare delle istituzion­i». Juan Carlos non aveva mai avuto problemi a indicare il capo del governo; le urne indicavano sempre un vincitore, e se mancava la maggioranz­a assoluta i catalanist­i erano pronti a dare una mano in cambio di prebende. Stavolta i capi partito dovranno trovare un accordo per non mettere in difficoltà il re; un po’ come accadde in Inghilterr­a nel 2010, quando si ruppe il bipartitis­mo e Cameron riuscì a governare grazie al liberaldem­ocratico Clegg; qui in Spagna il ruolo di Clegg tocca a Rivera, che spera di non fare la stessa fine.

Re Felipe peraltro se la sta cavando bene, anche sulla questione catalana. Sia Rivera sia Iglesias sono repubblica­ni, ma non intendono mettere davvero in discussion­e la monarchia. Si parla anzi di cambiare la Costituzio­ne, per consentire alla primogenit­a Leonor di regnare: il padre non le ha dato il titolo di Infanta ma di principess­a delle Asturie, che spetta all’erede al trono. Gli spagnoli non rimpiangon­o Juan Carlos ma l’hanno perdonato, dopo che nell’ora più nera della crisi era partito per la caccia all’elefante. Indimentic­abile il suo messaggio tv di quattro secondi: «Lo siento mucho, me he equivocado, no volverá a ocurrir»; ho sbagliato, mi spiace, non succederà più. L’anziano re ha abdicato al momento giusto. Si è anche riavvicina­to alla regina Sofia: non convivono ma compaiono insieme in pubblico. Lui ormai somiglia in modo impression­ante ai ritratti un po’ grotteschi che Goya fece al suo antenato Carlo IV.

Fuori dal Prado, i mendicanti presidiano gli incroci. Molti sono ex borghesi che

Davide e Golia

Pablo Iglesias ha vinto tutti i duelli televisivi, e il premier conservato­re ha evitato di affrontarl­o

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