Le proteste in assemblea, poi il via libera al salvataggio
Andiamo avanti ma fate giustizia. Il messaggio arriva forte e chiaro dagli oltre cinquemila soci che ieri a Volpago del Montello (Treviso) hanno approvato al 97% il piano di salvataggio di Veneto Banca, una delle più grandi banche italiane. Volatilizzato il fronte del «no» guidato da don Enrico Tortora. Il futuro è la trasformazione in spa della Popolare, lo sbarco in Piazza Affari e un aumento di capitale da un miliardo. Ma il passato è una ferita che sanguina ancora. È troppo recente per non tornare, doloroso e impietoso, nelle decine di interventi di chi ha visto dissolversi quasi completamente i propri risparmi, investiti in azioni della banca. Da 40 euro sono piombate, senza possibilità di smobilizzo, a pochi euro: 3,5 miliardi bruciati complessivamente. La banca ( non quotata) le Le azioni sono piombate da 40 a pochi euro: in tutto 3,5 i miliardi bruciati Hanno votato perché la banca abbia un futuro. Ma hanno preteso l’impegno che non venga data tregua a chi, invece, ha tolto loro un futuro sereno.
Il presidente l’ha garantito: il piano industriale indica una crescita dei ricavi e un utile di 200 milioni nel 2020. E poi, sì, «ci sono tutti gli elementi per un’azione di responsabilità». «Non mi interessano le colpe, mi interessano i schei: che i vegna fora, presidente, che i vegna fora », si scalda Luisina Tomasella. Applausi. Commercialisti incravattati e piccoli imprenditori si succedono a raccontare le loro storie. Veneto, Puglia, Piemonte, Marche, tutti azionisti acquisiti con lo shopping di banche in 15 anni di espansione senza freni.
«Abbiamo numeri, potenzialità e capacità per stare sul mercato», garantisce l’amministratore delegato.
Si avvicina a fatica al palco uno dei 60 soci iscritti a parlare. «Sono Marin (cognome incomprensibile), sono rumeno, non ho mai chiesto elemosina
Il crollo