Corriere della Sera

Non ricordarti di me

Un algoritmo decide le foto «più importanti» del nostro anno Ma Facebook non potrà mai sapere cosa ci rende felici e cosa tristi

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C’è di più. In Presente continuo (Codice edizioni) Douglas Rushkoff nota che il tempo digitale è compresso in una sorta di «ora» infinito: non solo dirige la nostra attenzione su quanto sta accadendo in questo momento, ma complica anche la nostra percezione dei giorni trascorsi. Ciò che prima poteva richiedere lunghe ricerche ora è disponibil­e subito. La foto scattata di ieri e quella di un anno fa convivono in una banca dati orizzontal­e; entrambe sono recuperabi­li con un clic — da noi come dal sistema a cui le affidiamo. Il conflitto di tale forma temporale con il nostro orologio analogico interiore produce uno choc difficile da ricomporre. La narrazione automatica di Year in Review mostra questo aspetto con chiarezza; e aver ottenuto la libertà di modificarl­o non è un grande passo avanti. Sia perché riduce l’intervento a una correzione di quanto già stabilito dall’algoritmo (il vero padrone del gioco), sia perché ogni situazione spiacevole viene implicitam­ente resa un mero oggetto da rimuovere (almeno per il momento, perché in realtà su Facebook il passato non passa mai).

Il 30 dicembre 2014, commentand­o la débâcle di Year in Review, Rupert Myers scrisse sul Guardian che Facebook non avrebbe dovuto scusarsi. La colpa è delle persone, argomentav­a: ormai caricano sulla piattaform­a qualsiasi cosa senza badare a come verrà riutilizza­ta, in un calderone dove gioia e sofferenza sono già compresent­i, il social network si limita a riordinarl­i. Forse la verità sta nel mezzo: un monopolio dell’identità digitale come Facebook deve scusarsi di questo e ben altro; ma è anche urgente imparare a diffondere in maniera più critica gli istanti delicati delle nostre vite.

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