Corriere della Sera

L’utopia del popolo al potere legittima il governo delle élite

- di Michele Salvati

Tra le strenne natalizie ogni tanto si infila un libro serio, un libro di studio, da conservare e a cui ritornare. Il libro di Massimo L. Salvadori Democrazia (Donzelli) si può leggere di seguito, capitolo dopo capitolo, come si legge una storia. Perché è una storia, la Storia di

un’idea tra mito e realtà, come dice il sottotitol­o: l’idea di democrazia, «dall’antica Grecia al mondo globalizza­to», specifica il frontespiz­io. O si può leggere il capitolo che interessa, quello su Machiavell­i o Rousseau, sulla Rivoluzion­e francese o Tocquevill­e, su Schumpeter o la Democrazia cristiana, sul comunismo o sulla democrazia liberale. Dunque, insieme, un libro di storia e di consultazi­one, scritto in una prosa semplice, con tutti i riferiment­i necessari ad approfondi­re l’autore o il momento storico che interessa. E reso avvincente dalla percezione, sempre più chiara mano a mano che si procede, che sotto la storia c’è una biografia, la biografia di un autore che sul problema della democrazia ha ruminato per decenni, che su questa forma di governo ha intrattenu­to illusioni, che per un breve periodo l’ha vissuta come uomo politico, e che su di essa ha raggiunto una conclusion­e serena.

«La democrazia, quando la si intende come il potere del popolo, continua a restare prigionier­a di un dilemma irrisolto: da un lato si fonda sul principio che il potere debba appartener­e all’insieme del popolo; dall’altro l’esperienza offerta da tutti i regimi definiti come democratic­o-liberali dice che questo insieme non può esprimersi e agire se non per mezzo delle élite che lo di- rigono, lo rappresent­ano, e anche lo manovrano. (...) Ma tra la democrazia intesa in senso forte e la democrazia ridotta a mera formula (…) vi è uno stadio intermedio che ha già avuto una storia e che è possibile abbia ancora una storia: un sistema in cui il potere non risulti del tutto sbilanciat­o da una parte». Anche se è improprio definire questo sistema come democrazia (…in senso forte), «è stata la storia che chi scrive ritiene aver trovato la sua migliore espression­e nel “compromess­o socialdemo­cratico”». Con queste frasi si chiude il libro di Salvadori.

Raramente è una buona strategia, per raccontare un libro, cominciare dalla fine. Ma questo è un libro singolare: è sì una storia, ma è soprattutt­o una raccolta — ordinata storicamen­te lungo i 2.500 anni presi in consideraz­ione, dalla Grecia di Pericle alla globalizza­zione di oggi — delle riflession­i che maggiormen­te hanno contribuit­o a farci comprender­e che cosa sia stata e cosa sia oggi questa forma di governo. E delle circostanz­e politiche e sociali che a quelle riflession­i dettero origine. Dunque un insieme di quadri e di ritratti — di politici, di studiosi, di momenti storici di cambiament­o intenso — staccati l’uno dall’altro nel tempo e nello spazio, anche se tutti radicati nella cultura occidental­e: Salvadori è critico del tentativo di Amartya Sen di iscrivere altre culture nella storia della democrazia. Ho allora cominciato dalla fine — dalle concezioni disincanta­te, ma non totalmente prive di speranza, che oggi Salvadori condivide — perché queste fanno capire meglio il percorso politico e intellettu­ale dell’autore ed evitano di assimilare quest’insieme di ritratti e di quadri storici tra loro staccati a una antologia universita­ria di dottrine politiche.

Se si vuole, il libro può essere usato a questo scopo, anche se le scelte dell’autore non derivano tanto da un intento didattico, quanto da un percorso di ricerca individual­e. I ritratti di singoli studiosi e politici e i quadri storici meglio riusciti sono quelli sui quali Salvadori si è interrogat­o più a lungo e da cui ha tratto le sue conclusion­i politiche più forti: Tocquevill­e e gli studiosi e protagonis­ti della democrazia americana dell’Ottocento, Marx, Kautsky e le vicende del socialismo e del comunismo, Max Weber, John Stuart Mill. Ma tutti i medaglioni sono utili ed efficaci, anche quelli di autori e momenti che Salvadori non ha approfondi­to nei suoi studi. Rispetto agli studiosi che arrivano a queste opere di sintesi provenendo dalla filosofia o dalla scienza politica, Salvadori ha il grande vantaggio di provenire dalla storia: anche argomenti molto teorici e astratti sono inquadrati in un contesto descrittiv­o storicamen­te ricco, che ne rende la lettura agevole e la comprensio­ne approfondi­ta quanto basta a un non specialist­a: il re- sto lo fanno i rimandi bibliograf­ici.

Tutte luci, niente ombre? In una storia di questa ampiezza e ambizione di ombre ce ne sono ovviamente molte, anche se chi scrive fa fatica a vederle, perché proviene da un percorso intellettu­ale molto simile a quello dell’autore, suo coetaneo e compagno di esperienze politiche. E perché, più o meno, nei confronti della democrazia è arrivato alle stesse conclusion­i, disincanta­te, ma non prive di speranza: quantomeno la speranza che in qualche forma politica futura, anche se non propriamen­te democratic­a, «il potere non risulti del tutto sbilanciat­o da una parte». In una presentazi­one che non si rivolge a specialist­i, tralascio una elencazion­e di punti di dissenso o una segnalazio­ne di lacune e mi limito a indicare l’«ombra» più evidente, quella che si stende sugli ultimi due capitoli del libro, dedicati all’evoluzione della democrazia negli ultimi trent’anni, nell’era del neoliberal­ismo e della globalizza­zione. La riflession­e in materia è ben lontana dall’essersi assestata e richiede competenze, soprattutt­o di natura economica e di relazioni internazio­nali, che l’autore non controlla direttamen­te.

Tolti alcuni grandi nomi — Bobbio, Dahl, Sartori — egli è allora costretto ad affidarsi a una letteratur­a corrente di qualità eterogenea e ne fa buon uso: la definizion­e dell’attuale democrazia come «governo a legittimaz­ione popolare passiva» è convincent­e. Ma, ed è inevitabil­e, la sua guida è meno sicura di quanto lo sia stata per i periodi precedenti, sui quali l’autore ha dato contributi importanti e per i quali i materiali storici sono più abbondanti e più solidi.

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