Il nostro «oro blu» sarà (ancora) più sicuro
In Italia quel che arriva dalla rete idrica è di ottima qualità e in generale conforme a tutti i parametri sanitari richiesti dalle leggi. Una nuova direttiva europea ridisegna però il sistema dei controlli, che saranno più stringenti e su misura. Non più
Finora, possiamo ritenerci fortunati. Le risorse idriche del nostro Paese destinate al consumo umano sono abbondanti e di ottima qualità. Più dell’80% dell’acqua potabile distribuita nella rete, infatti, proviene direttamente da sorgenti o falde sotterranee naturalmente protette e solo un 20% delle acque da destinare ad uso potabile ha bisogno di un processo di depurazione.
« In generale — spiega Luca Lucentini, direttore del Reparto Igiene acque interne, dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria dell’Istituto Superiore di Sanità — considerando i dati più recenti, la conformità delle acque potabili è superiore al 99% per tutti i parametri sanitari ( si veda grafico, ndr), in linea con gran parte dei Paesi europei». Nonostante il dato positivo e i progressi fatti nel rispettare i limiti europei per salute e ambiente, in Italia restano da sciogliere nodi come il gran numero di gestori, l’elevata dispersione della risorsa nelle reti di distribuzione e - così come in numerosi Paesi del mondo - il rischio geochimico legato alla presenza di concentrazioni naturalmente elevate di elementi potenzialmente nocivi, quali l’arsenico e il fluoro, in alcune zone.
Come dimostrano ampiamente le cronache e i dati allarmanti sulle riserve idriche a livello mondiale, l’acqua è un bene fondamentale da preservare e dunque nessuno può permettersi il benché minimo spreco. «E invece — dice Carlo Cremisini, ex dirigente di ricerca di ENEA che per 30 anni si è occupato di prevenzione e risanamento ambientale — in alcuni casi è stato verificato che fino al 40% dell’acqua distribuita viene persa prima di arrivare al rubinetto. Questo è inaccettabile sia dal punto di vista economico e ambientale, sia dal punto di vista della garanzia della conservazione della qualità igienico-sanitaria dell’acqua».
L’altro grande problema dell’Italia, e non solo, è l’estrema frammentazione della rete di distribuzione, con più di 2 mila enti gestori di servizi idrici dei quali quasi il 90% sono sistemi con bacini d’utenza inferiori in molti casi ai 5 mila abitanti, per lo più gestiti in economia. «Dati europei — sottolinea Lucentini — stimano che circa un terzo di questi piccoli gestori non distribuisce acqua conforme agli standard normativi, in genere per parametri non direttamente connessi a rischi sanitari. Sono cifre importanti, che hanno indotto a spostare il modo di tenere sotto controllo la qualità delle acque».
Il modello a cui adesso bisogna adeguarsi è quello del Water Safety Plan, diventato anche grazie al contributo italiano parte integrante della legislazione europea con la Direttiva 2015/1787. Gli Stati dell’Ue hanno due anni di tempo per adeguarsi alla nuova normativa. Si tratta di una rivoluzione, rispetto ai controlli sull’acqua potabile che oggi sono impostati sulla sorveglianza di porzioni circoscritte del sistema (prelievo-trattamento-distribuzione) e sul monitoraggio a campione dell’acqua distribuita in rete.
Il Water Safety Plan invece sposta l’attenzione per così dire a monte e si fonda sul concetto dell’analisi del rischio. «In pratica, per ogni sistema acquedottistico — dice Lucentini — vengono valutati i possibili pericoli che possono compromettere la sicurezza dell’acqua in ogni fase, dal prelievo fino al rubinetto, stimandone il rischio e il possibile impatto sulla salute e, soprattutto, ridefinendo le misure per evitare pericoli». Anche grazie a un progetto sperimentale del Ministero della Salute, l’Iss è stato in grado di elaborare le «Linee guida per la valutazione e gestione del rischio nella filiera delle acque destinate al consumo umano secondo il modello dei Water Safety Plans». Ma la prima applicazione su larga scala partirà a Milano.
Il gruppo pubblico CAP (197 comuni tra Milano e provincia e in molte altre province lombarde), in cooperazione con Asl e Regione, e con il supporto tecnico-scientifico dell’Iss condurrà a termine il progetto nel corso dei prossimi due anni. Estenderlo a livello nazionale non sarà semplice, anche per via dei costi e degli investimenti necessari.
Ma bisognerà farlo e verificarne l’attuazione. «I controlli ci saranno — conclude Lucentini — perché ai Piani sarà demandata la sicurezza dei consumatori che, come prevede la Direttiva Ue, dovranno essere informati su ogni aspetto».
I problemi I nodi da sciogliere sono il gran numero di gestori, l’elevata dispersione idrica e il rischio geochimico per elementi nocivi presenti in natura