Come si stabilisce se è davvero potabile
Per poter essere considerate adatte al consumo umano, le acque devono rispettare i requisiti minimi di salubrità e qualità dal punto di vista chimico e microbiologico ( i cosiddetti valori di parametro, si veda il grafico) nel punto in cui le acque sono disponibili per il consumo, previsti dalle normative europee e nazionali.
«L’acqua è essenziale per la nostra vita — spiega Carlo Cremisini ex dirigente di ricerca di ENEA — e sarebbe bene sapere qualcosa del suo ciclo. Un’acqua naturale contiene sali disciolti di calcio, magnesio, sodio e potassio, “ceduti” dal suolo e dalle rocce con le quali è venuta in contatto. La loro presenza è necessaria perché l’acqua sia potabile: per motivi di equilibrio fisiologico non possiamo assumere acqua del tutto priva di sali. Poi può contenere, in quantità minori, altri elementi, quali ad esempio ferro e manganese e infine altri ancora, detti microelementi. Alcuni di questi sono importanti per l’uomo, altri non sono di alcuna utilità o sono addirittura potenzialmente tossici. Per fortuna sono presenti in concentrazioni estremamente basse, per cui di solito non causano problemi».
«Comunque, a meno che non intervenga una contaminazione da parte dell’uomo — aggiunge Cremisini —, la qualità “chimica” dell’acqua nel punto di prelievo viene conservata e si garantisce il mantenimento della purezza microbiologica con una serie di trattamenti minimali». Nella stragrande maggioranza dei casi, a quanto assicurano gli esperti, l’obbiettivo è raggiunto. A dispetto del “terrorismo” psicologico, che qualche volta alcuni venditori di piccoli “depuratori” domestici ancora utilizzano. «Penso non sia corretto — sottolinea Cremisini — che questi prodotti vengano reclamizzati o presentati ai cittadini affermando che l’acqua del rubinetto contiene addirittura una serie di veleni. Chiunque può trovare l’acqua del rubinetto non di suo gradimento e preferire un’acqua più “leggera”. Di sicuro però l’acqua del rubinetto è ben controllata e non contiene veleni». La Direttiva Ue sull’acqua potabile, introdotta nel 1980 e rivista nel 1998, fissa 48 parametri indicatori microbiologici e chimici con i corrispondenti valori limite. «Si tratta però di parametri minimi — spiega Luca Lucentini, direttore del Reparto Igiene acque interne dell’Istituto Superiore di Sanità — scelti perché abbastanza frequenti nelle acque. In realtà, appunto, gli elementi presenti sono tanti altri».
«A livello teorico nell’acqua potrebbe finire una qualsiasi delle centinaia di migliaia di sostanze chimiche che circolano nell’ambiente — aggiunge —. Se controlliamo solo i parametri fissi della Direttiva Ue, ce ne possono sfuggire tanti altri più importanti, in certe specifiche circostanze. È il caso del tallio a Pietrasanta, un elemento tossico e molto pericoloso: è stato individuato solo indirettamente dall’Università di Scienze della Terra di Pisa, che indagava sulle miniere per aspetti di ricerca pura, e pian piano si è scoperto che contaminava da 40 anni l’acquedotto della città». Un altro esempio è quello dei composti perfluoro alchilici che hanno contaminato quattro province del Veneto. «Sono composti non ricercati di routine — dice Lucentini —, spesso vengono chiamati emergenti ma io li chiamerei piuttosto “negletti” perché ne abbiamo trascurato noi la ricerca. In quel caso avevamo delle industrie produttrici che scaricavano questi prodotti da decine di anni provocando una vasta contaminazione ambientale».
Il nuovo modello del Water Safety Plan ( si veda l’articolo in apertura) che prevede la mappatura dei rischi “alla fonte” e piani di sicurezza specifici per le zone evidenziate, in teoria dovrebbe mettere al riparo da sorprese come quella di Pietrasanta o del Veneto.