Corriere della Sera

«Adesso mi trovo imputato di tutto»

Le parole di Rosi, ex presidente della Banca Etruria. Salini, ex Consob: «L’alleanza era necessaria» Dal ruolo dei consiglier­i d’amministra­zione alle scelte: accuse e interrogat­ivi sulle responsabi­lità

- DAL NOSTRO INVIATO M. Ger.

Lorenzo Rosi, l’ex presidente di Banca Popolare Etruria, si sente come un parafulmin­e nella tempesta. Claudio Salini, per anni al vertice della Consob (segretario generale) lasciata nel giugno 2013, batte il tasto del «matrimonio» che si doveva fare.

Tutti, anche quelli che «preferisco­no non comparire » , sentono il peso di una banca che gli è crollata addosso, trascinand­osi dietro il risparmio di migliaia di persone. E poi le accuse e gli interrogat­ivi che si rincorrono: chi è responsabi­le? I verbali ispettivi della Banca d’Italia, i filoni dell’inchiesta penale che si moltiplica­no ogni settimana. Ma loro, i consiglier­i di amministra­zione della Banca Popolare Etruria dove sono? Cosa dicono? Uno esibisce amaramente un articolo di Arezzo Notizie del 17 novembre, pochi giorni prima del decreto «Salva banche». Sottolinea­te le parole del commissari­o Antonio Pironti: «I soci e i creditori della banca si sono meritati tutti i nostri sforzi, una soluzione ai problemi di Banca Etruria sembra a portata di mano». L’ex consiglier­e dimentica di essere concausa di quegli enormi problemi ma per lui dev’essere un dettaglio.

Rosi, l’ultimo presidente, in consiglio di amministra­zione dal 2008, risponde al telefono quei dieci-quindici secondi giusto per dire: «Avete scritto di tutto, mi trovo imputato di tutto, senza avere...». E qui deve essersi improvvisa­mente ricordato le raccomanda­zione dell’avvocato: «Non parlare con i giornalist­i». Infatti s’avvale della facoltà di non rispondere oltre. Per anni, accanto a pochi tecnici si sono succeduti consiglier­i incompeten­ti, belle statuine, passacarte di ciò che decideva un pugno di persone al vertice, l’«Alta direzione», cioè il vero centro di potere della banca. È così che fotografa la governance l’ispettore della Vigilanza di Bankitalia, Emanuele Gatti, nel 2013, quando presidente era Giuseppe Fornasari (uscito nell’aprile 2014) e direttore generale Luca Bronchi (fuori a giugno 2014). Già, Bronchi, premiato con stipendi in crescita dal 2009 al 2014 (da 420 a 630 mila euro annui) con la banca che intanto ha perso la bellezza di 800 milioni. Solo un consiglier­e, Giovanni Grazzini, entrato a maggio 2014, si è messo di traverso quando è stata votata una buonuscita da 900 mila euro per Bronchi. «Ho giudicato quella somma troppo alta — ha detto — mi sono astenuto e ho fatto mettere a verbale le motivazion­i». Pochi lo sanno ma esiste anche la possibilit­à di votare contro. Non è reato.

Salini, l’uomo ex Consob con grande esperienza di mercato, è da poco in pensione quando nell’ottobre 2013 entra in Etruria per uscire la primavera successiva e rientrare a luglio. «Sono arrivato a conclusion­e dell’ispezione Bankitalia del 2013. Si operava in una situazione difficile». E l’obiettivo era solo «trovare un’alleanza e contempora­neamente gestire correttame­nte la banca in una situazione di supervisio­ne di Bankitalia». Un partner era necessario, anzi « il risultato ispettivo e la lettera del governator­e Visco facevano un quadro chiaro con l’indicazion­e che da soli non si poteva andare avanti. E il cda era d’accordo, anche quello rinnovato a primavera. Mai sono venuti meno il desiderio e la necessità di integrazio­ne » . Ma a un certo punto è arrivato prima il gong del commissari­amento.

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