I veti incrociati e le linee rosse per il nuovo governo
Per i politici di Madrid è un Natale da incubo: «uno scenario diabolico» scrive El Pais. Entro il 13 gennaio, quando si costituirà il parlamento, dovrebbero inventare il miracolo che eviti un ritorno alle urne in primavera. Al premier uscente il popolare Mariano Rajoy (123 seggi su 350) spetta il primo tentativo per formare il governo. Ha annunciato trattative «discrete» con Psoe (90) e Ciudadanos (40). Ma il socialista Pedro Sánchez per ora dice che voterà contro la sua investitura. Il leader di Ciudadanos Rivera rifiuta di andare oltre un’eventuale astensione. Podemos (69 seggi) intanto pone come condizione per una eventuale coalizione con il Psoe un referendum sulla indipendenza catalana, che i socialisti rifiutano.
non nel senso che intendeva il Duce; in questi giorni Ada Colau sta facendo togliere le ultime targhe dedicate ai generali franchisti.
La città è sempre dinamica, la Sagrada Familia finalmente terminata è invasa di luce, il quartiere marinaro della Ribera è rinato, nel centro di ricerca Irsicaixa si sperimenta il vaccino per l’Aids. Il Barcellona ha appena vinto il terzo Mondiale per club, pure la nuova Miss Mondo è catalana: la modella Mireia Lalaguna, che però ha vinto il titolo per la Spagna e ne indossava la detestata bandiera. La questione dell’indipendenza è entrata in stallo. S’incancrenisce. Mostra il volto chiuso, quasi arcigno di una Catalogna non più disposta ad aiutare la Spagna povera. E ha già fatto danni all’economia: l’anno scorso 500 aziende hanno traslocato. Per far dispetto a Madrid è stata pure abolita la corrida. «Ma senza corrida i tori da combattimento sarebbero estinti da tempo — sostiene Cercas —. Lo dico da figlio di veterinario: tra le migliaia di animali che purtroppo uccidiamo ogni giorno, il toro ha il destino invidiabile di morire combattendo. O di vincere, come Isleño, che abbatté Manolete e divenne un eroe. Le élites catalane non vogliono la corrida perché la considerano una cosa spagnola; ma l’arena più antica è qui, a Olot. La prova che noi spagnoli ci assomigliamo più di quel che vorremmo».