Corriere della Sera

Le tante cause (tutte giuste) e un dilemma: a chi donare?

- Di Cristiano Gatti

La prima è di ottobre. A seguire, effetto cascata. Media una al giorno, con qualche vuoto sporadico. Buste pesantissi­me, piene degli oggetti più vari: calendari, biglietti augurali, alberelli da appendere. Slogan creativi. Ma soprattutt­o, da questo chilo di buste accumulate sulla scrivania, il richiamo accorato al Natale della beneficenz­a. Ci chiedono di mettere una mano sul cuore, in un periodo di facili suggestion­i, ma anche di mettere l’altra sul portafogli, perché in questo genere di regali non basta il pensiero. Regna il senso di emergenza incombente, in una selva di punti esclamativ­i: «Abbiamo bisogno di te!», «Non perdere un istante!», «Serve il tuo aiuto oggi stesso!». Le cause sono tutte ugualmente nobilissim­e. Le associazio­ni, pure: ne ho contate una quarantina. Sono tutte schierate al fronte, contro la fame, le malattie, l’handicap, la vecchiaia, l’emarginazi­one. Ci sono i gruppi impegnati nel disagio sociale, come il Banco Alimentare e il Progetto Arca. Ci sono i classici che ci accompagna­no da una vita, la Lega del filo d’oro, Medici senza frontiere, nonché i gruppi della ricerca, contro la sclerosi multipla, contro il cancro (Airc e Anvolt), contro la leucemia. E poi le missioni. E poi, prima e sopra tutto, i gruppi che portano nelle nostre case i drammi più insostenib­ili, anche da chi abbia cotenna spessa: i drammi dei bambini. L’Albero della vita per i bambini malati, Madre Speranza per i bambini disabili, i Salesiani per «dare di più ai bambini che hanno avuto di meno», Sos Villaggi dei bambini per «i bambini senza mamma e papà». Niente da fare: il filantropo — col braccino o col braccione — che alberga in fondo a tutti noi è messo con le spalle al muro. I sensi di colpa sono pronti all’imboscata. Con quale faccia possiamo ignorare questo assordante coro di suppliche? A chi dare? Quanto? Si può dare poco a tutti, ma diventa un vero lavoro, perché gestire decine di bollettini non è una ricreazion­e. Si può scegliere di aiutare una sola causa, ma è il modo migliore per entrare in crisi di coscienza: come reggere, nelle notti insonni, gli sguardi e gli appelli disperati delle moltitudin­i dolenti che abbiamo bocciato? In tanti, ormai, danno un taglio secco: sono quelli che scelgono di donare solidariet­à a chilometro zero, appoggiand­o un’associazio­ne sottocasa, anche per eliminare il fastidioso dubbio su dove, come, a chi finisca davvero la beneficenz­a. Il solidale tormento di Natale si fa ogni anno più complesso e intricato. Può sembrare che il difficile sia fare il bene. Ma il vero problema è farlo bene.

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