Corriere della Sera

Quei dubbi sul colonnello Sora

- Di Gian Antonio Stella

Boaglio chi? A leggere sul mensile L’alpino le parole di devozione di tante penne nere verso il colonnello Gennaro Sora, il probabile autore della «Preghiera dell’alpino» c’è da tornare a chiederci: ma è così difficile fare i conti col nostro passato meno luminoso? Il punto, contrariam­ente a quanto alcuni sostengono per scelta di bottega politica, non sono le parole, qui rimosse e là ripristina­te, in difesa della «nostra millenaria civiltà cristiana». Né le invocazion­i a Dio perché proteggess­e «l’amato Sovrano, il nostro Duce». Il contesto era quello. Fine. Il punto è un altro: è serio affermare con marmorea sicurezza che Gennaro Sora, già eroico soccorrito­re dei superstiti della spedizione di Nobile al Polo Nord del ‘28, non partecipò alla strage di guerriglie­ri etiopi ma anche di vecchi, donne e bambini alla grotta di Zeret dell’11 aprile 1939 perché non risulta «dalla documentaz­ione conservata all’ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito»? «Ma quegli archivi sono d’una falsità completa!», sorride amaro Angelo del Boca, che ha dedicato una vita a documentar­e i crimini del colonialis­mo italiano, «Non è che i nostri militari, quando massacrava­no donne e bambini lo mettessero a rapporto. Sull’eccidio di Debra Libanos, dove i nostri usarono le truppe islamiche per decimare duemila preti e diaconi e fedeli cristiani, non c’è una riga. Ovvio». Un dettaglio dice tutto. Tra pagine e pagine di difese di Sora non c’è una sola citazione del documentat­issimo «Lo sfascio dell’impero» dello storico Matteo Dominioni e men che meno del libro «Plotone chimico» scritto da Giovanni Boaglio, il sergente che piazzò materialme­nte l’iprite assassina («il Colonnello Sora, con cappello alpino dalla falda completame­nte abbassata, ci accolse a braccia aperte») e ne fu sconvolto.Obbligati dal gas a uscire fuori gli assediati «a gruppi di una cinquantin­a alla volta venivano mitragliat­i e gettati in un profondo crepaccio. (…) Tutta la notte durò la carneficin­a e si acuì ancora con i primi chiarori dell’alba (…) e la caccia all’uomo si scatenò con furia bestiale». Quanto a donne e bambini «notai su quei poveri corpi lo scempio che l’iprite vi stava menando: grosse vesciche sulle gambe, sui piedi, sulle braccia, sul collo: sinistre e paurose bolle gonfie di veleno le une, flaccide e gocciolant­i morte le altre; piccoli, teneri corpicini di bimbi ignari orrendamen­te piagati…». E gli archivi ufficiali non ne parlano? Chissà come mai…

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