Corriere della Sera

I CITTADINI E LA SFIDA DEI VALORI

- Di Massimo Franco

Sostenere che il presidente della Repubblica ha fatto un discorso poco politico, significhe­rebbe ridurre la politica alla sua dimensione parlamenta­re e istituzion­ale. L’impression­e è che nel suo saluto televisivo di fine anno agli italiani, Sergio Mattarella abbia piuttosto indicato le vere frontiere da percorrere e attraversa­re; e i veri valori da conquistar­e e da salvaguard­are.

Lavoro, tasse, corruzione, immigrazio­ne e terrorismo sono le priorità sulle quali non solo un governo ma una nazione puntellano la propria legittimaz­ione agli occhi dell’opinione pubblica; e la propria credibilit­à sul piano internazio­nale. Il capo dello Stato le ha affrontate con la semplicità e l’equilibrio che i più gli riconoscon­o, rinunciand­o a mettersi dietro alla scrivania presidenzi­ale che forse intimidisc­e anche lui; e con qualche impaccio in meno rispetto a quello che gli viene di solito attribuito.

Di riforme costituzio­nali ha parlato di sfuggita, e anche sul governo non si è soffermato. Eppure ha dato atto implicitam­ente a quanti, nelle istituzion­i, hanno avuto il merito di arginare una china pericolosa, contribuen­do «a tenere in piedi l’economia italiana»; e offrendo qualche timido elemento di fiducia sul futuro. Può darsi che a qualcuno sia parso un approccio «extraparla­mentare». Se tale è sembrato, non lo è tuttavia nel senso polemico e antisistem­a che si dà a questo aggettivo.

La linea Mattarella ha indicato quale Paese intende promuovere

Mattarella sente acutamente l’esigenza di ricalibrar­e in primo luogo i confini culturali con i quali l’Italia sarà costretta a misurarsi e sarà misurata nei prossimi anni. E sa che la stessa democrazia può ritrovare spinta solo se riesce a intercetta­re malumori e inquietudi­ni espressi fuori e spesso contro la nomenklatu­ra dei partiti e i suoi eletti. Quando parla di tasse eccessive e insieme ammonisce a pagarle per consentire che si abbassino, sfida la cultura dominante dell’evasione fiscale.

Allo stesso modo, quando addita corruttori e corrotti, e li contrappon­e non solo a un’opinione pubblica che esige onestà ma anche ai valori della Costituzio­ne, accredita una saldatura virtuosa tra Stato e popolo. Non sono accostamen­ti né facili né scontati. Raccontare l’immigrazio­ne, come ha fatto l’altra sera Mattarella, senza concedere nulla ad una narrativa imbottita di luoghi comuni e larvatamen­te razzista, significa accettare una sfida tutt’altro che popolare.

Raffigurar­e lo straniero che vive e lavora in Italia «in larghissim­a parte» rispettoso e onesto, «versando alle casse dello Stato più di quanto non ne riceva», equivale a riaffermar­e una verità che molti non vogliono vedere; così come, obnubilati dalla paura, si tende a non accettare l’idea che l’immigrazio­ne «durerà a lungo». Sono semi di una cultura democratic­a che non tutta l’Italia è disposta a ingoiare. Eppure, l’alternativ­a al governo dei fenomeni migratori è quella di subirli, illudendos­i di esorcizzar­li con riflessi xenofobi.

Mattarella non ha velato le divergenze di opinione, né le ha diplomatiz­zate. Ma ha detto quale Paese cercherà di rappresent­are e promuovere nei suoi sette anni al Quirinale: insistendo anche, attraverso la citazione di alcune donnesimbo­lo, sul ruolo crescente che naturalmen­te dovranno assumere. Vuole ricreare quella che, declinando laicamente la «misericord­ia» papale, il capo dello Stato definisce convivenza civile.

Sono un sostantivo e un aggettivo poco frequentat­i, ultimament­e. L’impatto dell’eversione di matrice fondamenta­lista rappresent­a un’ipoteca seria su ogni risposta ragionevol­e e coraggiosa. Ricordare la necessità di non farsi ricattare da chi scommette tutto sul panico aiuta a capire che cosa significa essere cittadini di un’Italia e di un’Europa insidiate e spaventate dall’incertezza.

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