Il Colle e quell’esigenza di scongiurare il rischio della generazione perduta
Quando hanno cominciato a predisporre il set nel salotto di casa, scegliendo gli angoli giusti per luci e inquadrature, sistemando bandiere e poltrona, studiando infine la scansione dei tempi, c’è stato chi ha suggerito di esibire in favore di telecamera, magari su un leggio, una copia della Costituzione. Al che Mattarella, già imbarazzato dal fervore dei preparativi, si è opposto. «Ma no, lasciate perdere, quella ce l’ho nel mio studio e là deve restare… metterla qui sarebbe una finzione, una cosa fasulla».
Un rifiuto che la dice lunga sull’atteggiamento con cui il presidente della Repubblica ha affrontato l’altro ieri il primo messaggio di Capodanno agli italiani — tradizione divenuta evento mediatico — e sul suo stesso carattere e stile. Carattere e stile di un uomo poco incline a effetti speciali e montaggi della scena (e pure dei retroscena, peraltro), abituato a parlare lentamente, con tono basso e monocorde ed estraneo a scatti declamatori, che non vuole apparire diverso da come è. Accorato o appassionato, a seconda dei casi, ma senza mascherare le proprie ritrosie e timidezze, del resto trasparenti dietro lo sguardo mite. Soprattutto, senza curarsi granché della «resa» televisiva del suo discorso. Che c’è stata, l’altra sera. Dimostrando che, anche nell’epoca della comunicazione spettacolarizzata, semplicità e schiettezza possono funzionare.
Quel che i cittadini invece non sanno è l’approfondimento attraverso il quale Mattarella ha maturato la scelta di alcuni temi toccati nel messaggio e suggeriti in uno schema, diciamo così, «per lampi» (altrimenti venti minuti non sarebbero mai bastati). Un «non detto» che non riguarda i «silenzi» su banche, esodati e marò, oggetto di recriminazione di certi partiti, perché quelle questioni le ha già affrontate giorni fa.
Prendiamo ad esempio il passaggio sulla disoccupazione e sul futuro delle nuove generazioni, spia della sensibilità sociale di questo presidente. Quando parla del lavoro e delle occasioni di progredire che mancano, problema acuto per i giovani di ambienti svantaggiati, specie al Sud, ha in mente il blocco di quella «mobilità sociale» che negli anni 60 e 70 aveva aperto l’accesso all’università, all’epoca non costosa come adesso, a milioni d’italiani fino ad allora esclusi. Effetto, per lui inaccettabile, di una crisi ancora non risolta e che rischia di ricacciare le ultime generazioni alla «periferia» di tutto. Anche se — e nel testo lo riconosce, con sicura gratificazione del premier Renzi — «la condizione economica dell’Italia va migliorando e le prospettive paiono favorevoli».
Nella stessa ansia di rigenerare la trama sociale di un Paese diviso e in affanno va interpretata la sua denuncia dei guasti provocati dall’evasione fiscale. Un inedito assoluto, in questo tipo di messaggi. A parlargliene sono stati i vertici di Confindustria, quando qualche settimana fa gli hanno presentato al Quirinale un dossier in cui si spiegava come quel nostro «vizio» provochi un danno da 122 miliardi di euro l’anno. Cioè, 7 punti e mezzo di Pil, convertibili in «più di trecentomila posti di lavoro». Ecco: riflettendo su questo rapporto causa/effetto, Mattarella si è detto — e l’ha lasciato intendere, a chi doveva capire, come il governo — che la ripresa dovrebbe essere finalizzata anche a offrire, con urgenza, strumenti nuovi per superare performance così penalizzanti ( magari restituendo alle imprese parte dei fondi recuperati dall’evasione, purché assumano, s’intende).
Un altro «non detto» riguarda la tutela dell’ambiente, dossier di solito trascurato, ma oggi non più eludibile. Qui il presidente si appella — implicitamente — al senso civico degli italiani (una volta, nei paesi, ognuno teneva pulito il pezzo di strada davanti alla propria casa, senza attendere spazzini), che sembra compromesso anche in aree dov’era proverbialmente forte, e ai principi della cosiddetta «economia circolare», basata su uno sforzo collettivo, a partire dal riuso dei beni anziché sullo spreco. E nella medesima cornice di impegno civico vanno compresi i riferimenti alla «questione morale», riaperta dal trauma dei recenti scandali, che hanno visto affiorare gravi inquinamenti mafiosi (da quanto non si sentiva pronunciare la parola mafia in discorsi del genere?) pure nella sfera politica. Al punto da «imporre» la battaglia per la legalità come la missione di questo settennato. Ora, il capo dello Stato, rincuorato da tanti incontri privati con gente comune schierata su questa trincea a dispetto di ogni rischio, sente di poter esprimersi a nome della «quasi totalità dei nostri concittadini… che credono nell’onestà e pretendono correttezza». Anche, se non soprattutto, è il suo duro avvertimento, «da chi governa, a ogni livello».
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