«Una rete dell’Isis qui non esiste Forse un cane sciolto radicalizzato online»
«Sappiamo chi è stato. Ma ci vorrà del tempo per capire com’è nato davvero questo attacco terroristico. E se ci sia dietro qualcuno. E chi». Ido Zelkovitz è una delle menti più brillanti dell’antiterrorismo israeliano. Esperto di Medio Oriente, professore di relazioni internazionali all’Università di Haifa, spesso consultato dal governo e dallo Shin Bet, i servizi segreti interni, a 37 anni ha un notevole bagaglio di conoscenze del fenomeno jihadista. E ci sono diverse cose che non lo convincono: «Sono passate diverse ore e nessuna organizzazione ha ancora rivendicato l’attentato. E allora è evidente che si tratta di terrorismo. Ma che probabilmente si tratta d’un cane sciolto: i jihadisti aspettano di vedere come va a finire».
Tel Aviv come l’Europa?
«L’Isis qui non c’è. Ci sono stati arresti, operazioni nelle scorse settimane. Ma una rete al momento non esiste».
Però è la prima cosa a cui s’è pensato nel resto del mondo.
«L’Isis è un fenomeno virtuale e virale, in Israele. Ci sono diversi giovani arabi israeliani che s’identificano, andando sul web e guardando le tv satellitari. Ma per ora siamo solo alla propaganda».
Eppure Al Baghdadi, una settimana fa, ha esortato a colpire proprio Israele. A Betlemme, la polizia palestinese s’aspettava qualcosa. E nel Nord del Paese sono state trovate perfino false banconote dello Stato Islamico...
«Guardi, Israele sono più di 70 anni che s’occupa di terroristi. E non credo che Al Baghdadi sia in grado di sferrare attacchi come a Parigi. È un paradosso, lo so, ma dove l’Isis calca sulla propaganda, è proprio dov’è più debole. Quest’uomo che ha sparato a Tel Aviv, si vede dai filmati, non ha addestramento. È un dilettante. Spara solo per pochi secondi e non tenendo un po’ di distanza dalle vittime, come fa un professionista. Non urla nulla. Poi scappa anche: che martire è, uno che scappa? Mi concentrerei anche sull’arma. Secondo me, è una Karl Gustav modificata di fabbricazione ceca. La si trova a basso prezzo in Cisgiordania, ce l’ha anche la malavita arabo-israeliana».
E quindi?
«Quindi è possibile sia uno che s’è indottrinato da solo. Infatti il padre l’ha subito denunciato, Il video Accanto, un fotogramma di una telecamera di sorveglianza di un negozio di alimentari adiacente al bar che mostra il momento in cui l’attentatore ha aperto il fuoco contro i clienti seduti ai tavolini lungo il marciapiedi. Il terrorista, un arabo israeliano, è entrato nel minimarket e ha fatto finta di acquistare noccioline. Poi ha posato il suo zaino ed estratto un mitra, cominciando a sparare s’è messo a collaborare con la polizia».
Un legame con la nuova intifada?
«Difficile saperlo. In queste menti agiscono suggestioni di vario tipo. Il primo gennaio, per esempio, è una data molto importante per Fatah: l’anniversario della fondazione. Spesso ci sono state azioni, per celebrarlo. E c’è sempre il desiderio d’accreditarsi con azioni clamorose: questo vale soprattutto se si vuole impressionare quelli dell’Isis».
Tel Aviv s’è sempre sentita un po’ più al riparo dagli attacchi…
«Non è vero. La seconda intifada qui fu terribile. È semplicemente una città più forte della morte, sono sicuro che già stasera tutti i locali saranno aperti come sempre».
Il sindaco ha detto che da questa sparatoria bisogna trarre lezioni per il futuro.
«Nel 1948, quando era già sotto i primi attacchi, la gente andava nei caffè. Erano israeliani arrivati dagli orrori dell’Europa: non si facevano spaventare da così poco».