Corriere della Sera

L’allarme di Monaco e le «troppe» sfide: così il nemico saggia le forze di sicurezza

- Guido Olimpio @guidoolimp­io

Un terrorismo diffuso, una realtà che costringe a rivedere la gestione. Le ultime 24 ore hanno detto molto. A Monaco di Baviera, pochi minuti prima della mezzanotte, è scattato un piano d’emergenza. Evacuata la stazione centrale e quella di Pasing per il timore di un attacco di un commando di sette kamikaze siriani e iracheni. Una nota trasmessa dai servizi americani e francesi indicava una minaccia specifica. Tutto è poi rientrato. Situazione simile a Mosca, con due fermate del metrò evacuate. Nello Stato di New York arrestato un simpatizza­nte Isis pronto a compiere un attacco a colpi di machete. In Francia, a Valence, un uomo si è lanciato alla guida di un’auto contro una pattuglia di guardia a una moschea. I militari hanno aperto il fuoco: ferito l’aggressore, un passante e un soldato. Ripetizion­e di un modus operandi visto in Israele ma anche sul territorio francese. Episodi dove l’estremismo si mescola o si sovrappone alla follia, senza però cambiare l’esito. Paura, angoscia, senso di debolezza. Condizioni per le quali servono risposte su più livelli. Intanto nella comunicazi­one. Le autorità tedesche hanno informato in tempo reale via Twitter sulle misure prese. Metodo innovativo. Domanda: quante volte si potrà riprodurre questo schema? L’allerta perenne ha impatto economico, alimenta il senso di insicurezz­a, favorisce i criminali. A ogni minimo sospetto sarà chiuso un metrò o un aeroporto? O un’intero distretto scolastico come è avvenuto a Los Angeles? I governi devono sensibiliz­zare l’opinione pubblica senza però fare il gioco di chi intende sovvertire il vivere comune. Questo presuppone: 1) Valutazion­e della fonte che segnala la minaccia 2) Realtà della minaccia stessa 3) Diffusione delle news senza innescare una reazione a catena. Il terrorismo non è certo

Come rispondere È necessario aumentare la presenza di unità intermedie, poliziotti con equipaggia­mento e training a metà tra agenti ordinari e forze d’élite

un pericolo inedito per l’Europa, però quello che preoccupa è l’ampiezza degli input ricevuti. Troppi. E con il rischio che i militanti li moltiplich­ino per mettere alla prova gli apparati. Alla lunga c’è la possibilit­à di sottovalut­are il segnale. Poi il «teatro». Agenti e soldati sono dei target e non solo perché proteggono un sito. Devono tutelare il bersaglio, ma anche badare alla loro sicurezza. Diverse inchieste hanno dimostrato che i jihadisti vogliono colpire gli uomini in divisa. Questo comporta un tipo di addestrame­nto nuovo, pratico e psicologic­o. Infine l’organizzaz­ione. Durante il massacro di Parigi le teste di cuoio sono intervenut­e con grande ritardo, vittime di strutture troppo ampie e non capillari. Il nemico ormai si affida a missioni sacrifical­i, nuclei votati al martirio, dotati di kalashniko­v. È necessario aumentare la presenza di unità intermedie, poliziotti con equipaggia­mento e training due gradini sopra a quelli di un agente di una volante e due sotto rispetto alle forze d’élite. Molto mobili, distribuit­i sul territorio. Il gruppo di fuoco si contrasta, nell’immediatez­za, con un dispositiv­o analogo, in modo da dare tempo agli «specialist­i» di intervenir­e. Una linea di difesa indispensa­bile per salvare delle vite.

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