Pranzo da Samir, in fuga dall’Isis con il segreto dell’omosessualità E nella musica la libertà della vita
All’ora di pranzo siamo tornati nel centro di Beirut, dove un rifugiato chiamato Samir (nome cambiato per ragioni di sicurezza) ha acconsentito a raccontarci la sua storia. Siamo entrati in un palazzo degli anni Trenta disabitato. Sporco e lasciato in malora, il palazzo mostra segni di un passato splendore coi suoi corridoi, l’ampio ingresso e gli appartamenti dai terrazzi ora distrutti. Al piano terra, su una grande porta di legno, un’insegna al neon rotta indica un cocktail bar da tempo abbandonato. Al primo piano ho conosciuto Samir. Un uomo alto, magro ed elegante sulla quarantina. Con un gesto mi ha invitato a entrare in casa. L’appartamento è grande, circa 200 metri quadrati; il pavimento in piastrelle è polveroso, le pareti umide e ammuffite. In fondo c’è una stanzetta che si distingue dal resto: pulita e ridipinta da poco, pareti decorate con pois ritagliati a mano. Mi sono tolto le scarpe e l’ho seguito nella camera. E’ l’unica stanza (a parte una piccola cucina) che gli è permesso di abitare. L’affitto costa 300 dollari al mese. Ci siamo seduti sul pavimento e l’odore di salsa di pomodoro fatta in casa si è diffusa nelle stanze vuote. Samir mi ha detto di sapere chi sono e che, considerando la mia storia e il mio orientamento sessuale, sperava che sarei stato in grado di ascoltare la sua storia e poi raccontarla con mente e cuore aperti. Samir è fuggito dalla Siria due anni fa. È laureato in management alberghiero e ha lavorato come chef in uno dei migliori boutique hotel del Paese. È stato obbligato ad andar via perché il suo segreto, conservato per tutta la vita, poteva diventare pericoloso nella mani di Daesh. Da giovane, i suoi l’hanno obbligato a sposarsi. Ha una moglie e tre bambini, ma era anche un membro conosciuto della comunità LGBT. La sua omosessualità non è nota alla famiglia (che lui adora) neppure ora. Samir ha preparato un piatto di carne farcita di verdure e riso. Il team dell’Unhcr e io abbiamo mangiato in piedi in cucina. Samir ci ha detto che recentemente ha lavorato come cuoco a Beirut, ma una volta saputo della sua omosessualità l’hanno obbligato a lasciare. Ci ha parlato dell’amicizia con la moglie, di quanto parlino spesso e di quanto ami i bambini. Ma Samir non ha scelta; il suo sogno adesso è fuggire portando via la sua famiglia dalla Siria attraverso la Turchia. Dopo pranzo, Samir ci ha accompagnati in una vicina comunità per incontrare un gruppo di supporto per i rifugiati LGBT. Ho conosciuto quindici giovani tra i 18 e i 24 anni, durante quello che si sarebbe rivelato uno dei più incredibili incontri di tutta la mia vita. Mi hanno mostrato un filmato realizzato da loro stessi, in cui si raccontano e spiegano i motivi per cui hanno lasciato le proprie case. Non ho mai incontrato persone più sole in tutta la mia vita. Questi ragazzi non sono soltanto dei rifugiati, ma anche dei giovani cacciati dalle loro case, dalle famiglie, dalla comunità. Sono stati perseguitati dalla società e persino dalla legge, e tutto per qualcosa che non hanno nemmeno scelto. Ho ascoltato la storia di una ragazza ermafrodita sbattuta fuori di casa che è finita a prostituirsi. Fare ricorso al sesso, per sopravvivere, non è una novità per i ragazzi di questo gruppo. Quando veniva aggredita dalle bande di strada lei temeva per la sua stessa vita, in quanto ucciderla sarebbe considerato «halal», lecito. Un altro ragazzo, nato donna, era in attesa di una nuova sistemazione in quanto la sua famiglia voleva ucciderlo e aveva ingaggiato delle persone per trovarlo. Non ho mai visto persone con meno opportunità e più ostacoli. Non ho mai incontrato persone con più motivi per essere tristi. E nonostante tutto, non ho mai incontrato un gruppo di persone più stimolante di loro. Dopo la nostra discussione, un gruppo di rifugiati musicisti provenienti da un’altra comunità supportata dall’Unhcr si è unita a noi. La musica era ciò di cui avevamo bisogno. Alle prime note il gruppo LGBT ha messo da parte il dolore; ha iniziato a cantare e a ballare con un contagioso senso di gioia e di liberazione. Chiunque avesse idee intolleranti in materia di sessualità dovrebbe incontrare questi individui: nel giro di pochi minuti vedrebbe i propri pregiudizi sgretolarsi. Tra la gioventù araba, sono i più emarginati. Eppure sono il più grande esempio di resistenza dello spirito umano. Splendono mentre altri si nascondono. Battono le strade e ne parlano senza pudori. Amano, piangono, combattono, ballano. Sono la Vita in tutte le sue forme. Non accoglierli a braccia aperte è mancare di rispetto alla vita stessa.