Corriere della Sera

In Ahmad vedo l’umiliazion­e di tutti gli uomini ai quali è proibito lavorare

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Questa è la casa di Ahmad, di sua madre Ayouch, di sua sorella e della sua giovane moglie. Dal momento in cui sono entrato ho percepito che sono una famiglia felice. Ripensando a tutto ciò che ho provato durante la visita, la sensazione che si è ripresenta­ta più spesso è la capacità di ripresa, di recupero: la resilienza. Il rifiuto di smettere di vivere e di amare. La mancanza di libertà è la cosa dalla quale stavano fuggendo. Ahmad e la moglie hanno avuto una bambina e me l’hanno presentata; ha due mesi e gli occhi contornati da kajal. Ahmad ha 22 anni e, nonostante il contegno e il sorriso, è incredibil­mente frustrato. Gli ho chiesto se fosse in grado di trovare un lavoro e lui mi ha spiegato che vive in una gabbia invisibile. Non può trovare uno sponsor libanese o il denaro necessario per il permesso di lavoro: ai non residenti è proibito lavorare legalmente. L’insediamen­to «informale» è vicino a Beirut e i posti di blocco, istituiti per fermare i rifugiati non residenti che si muovono verso la città, sono rigorosi. Ahmad non può progredire nella vita, guadagnare denaro per mantenere la famiglia. Si sente umiliato, incapace di essere l’uomo che vorrebbe. Mi ha colpito il sostegno che la famiglia gli offre. La cultura del machismo è messa da parte. Si tengono uniti sostenendo­si l’un l’altro senza giudicarsi. Non è difficile capire come, tra i rifugiati, la depression­e sia un problema così evidente negli uomini.

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