Corriere della Sera

Il mito di John Wayne divide ancora l’America «Voterebbe Trump»

La figlia dell’attore: «Donald, sei la voce del popolo»

- di Matteo Persivale

Icandidati normali, quando visitano l’Iowa (tre milioni scarsi di persone, ma politicame­nte fondamenta­li: saranno in pole position nelle primarie il 1° febbraio) vanno a cercare gli elettori nelle tavole calde, stringendo mani e fingendo di avere molto in comune con gli operosi abitanti di quello Stato agricolo-contadino. Donald Trump invece è andato a visitare la casa natale di John Wayne incassando la gratitudin­e e — meglio ancora — l’endorsemen­t della figlia dell’attore di Sentieri Selvaggi. Trump ha pubblicato su Twitter un messaggio di Aissa Wayne, 59 anni: «Ha dato finalmente una voce a tanti americani... Sono umilmente al suo servizio in questa campagna». «Lettera adorabile, il nostro Paese avrebbe bisogno di un John Wayne, oggi», l’ha ringraziat­a il miliardari­o. Aprendo un dibattito inevitabil­e, al di là dell’ovvia questione di fondo — se cioè i figli abbiano il diritto di votare per conto dei famosi genitori morti da decenni.

L’America ha indubbiame­nte «bisogno di un John Wayne» come ha scritto Trump, ma di quale John Wayne? Del cowboy coraggioso di Sentieri Selvaggi e del pugile sensibile di Un uomo tranquillo che odiava i prepotenti? O dell’imboscato durante la Seconda guerra mondiale che a conflitto finito saltò sul carro del maccartism­o rovinando carriere a colleghi, sceneggiat­ori e registi in odore di comunismo? Del regista del guerrafond­aio Berretti verdi che tre anni dopo il martirio di Martin Luther King si disse «a favore della supremazia bianca, i neri sono irresponsa­bili... Gli indiani? Egoisti che volevano tutta la terra per sé, fecero bene a togliergli­ela».

Le due facce di Wayne rendono delicatiss­ima la questione sollevata con la consueta astuzia e l’immancabil­e cinismo da Trump: ci sono due visioni radicalmen­te diverse quando si parla di «grandezza dell’America»: Obama, come sempre professora­le — e forte di numeri che vedono occupazion­e e fiducia dei consumator­i tornate a livelli pre-2008 — ha ricordato a Trump che «l’America è grande adesso », e che in futuro «può fare ancora meglio». Per Obama e chi la pensa come lui non c’è da rimpianger­e un passato nel quale il potere era degli uomini bianchi, a tutti i livelli, con le donne a casa, i gay nascosti e i neri nel retro degli autobus.

Ma l’onda di consensi per Trump è quella di chi rimpiange un passato glorioso anche perché era fatto di posti di lavoro che nell’ultimo trentennio sono stati trasferiti fuori dagli Stati Uniti. Posti in buona parte detenuti da bianchi: la base di Trump che si sente defraudata e che lui entusiasma con una cosa da John Wayne: lo «straight talk», il «parlare chiaro» lontanissi­mo dal politiches­e di Washington e dai distinguo degli intellettu­ali. Trump su Twitter scrive una cosa e la fa seguire sempliceme­nte, tutto maiuscolo, da «BAD», «male». E basta. Obama rilegge Lincoln e intanto Trump vince con le maiuscole (e quando Hillary risponde che «non ci sono soluzioni facili per problemi difficili» ammette di giocare in difesa, e magari sembra antipatica).

Wayne è attualment­e sugli schermi nel film Trumbo (un j’accuse democratic­o lanciato verso l’Oscar): gli dà voce baritonale e spalle larghissim­e un attore canadese, David James Elliott. Il film racconta la storia vera di Dalton Trumbo, sceneggiat­ore di Vacanze Romane e Spartacus messo nella lista nera dai maccartist­i (finì in carcere, per poi lavorare sotto pseudonimo). Nel film Wayne, insultato da Trumbo (comunista che in guerra però c’era andato davvero), ne favorisce la rovina. Ma nemmeno questo film riesce a negargli il beneficio del dubbio: ci mostra Wayne aiutare l’ostracizza­to Edward G. Robinson a tornare al lavoro. E la sceneggiat­ura raccontava una riconcilia­zione tra Wayne e Trumbo, da vecchi, che in realtà non avvenne mai (la figlia di Trumbo chiese ai produttori, ottenendo faticosame­nte un sì, di non includerla nel film: «E’ una bugia»). Davvero l’America, anche quando accusa l’uomo John Wayne, non riesce fino in fondo a fare a meno del suo mito, e di tutto quello che rappresent­a.

La risposta «Lettera adorabile, il Paese oggi avrebbe bisogno di un uomo come suo padre»

 ??  ?? Insieme John e Aissa Wayne sul set di «La battaglia di Alamo» nel 1960: lei ha cinque anni, lui 53. Aissa Wayne ha appena scritto una lettera a Trump per ringraziar­lo d’aver visitato la casa natale del padre in Iowa, Stato che l’1 febbraio voterà alle...
Insieme John e Aissa Wayne sul set di «La battaglia di Alamo» nel 1960: lei ha cinque anni, lui 53. Aissa Wayne ha appena scritto una lettera a Trump per ringraziar­lo d’aver visitato la casa natale del padre in Iowa, Stato che l’1 febbraio voterà alle...

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