Tra referendum e «plebiscito» La posta in gioco del premier
Lupi: ci saremo solo se è per le riforme. Berlusconi: alla consultazione vinceremo noi
Ancora qualche tempo fa il risultato referendario appariva scontato, ma ci sarà un motivo se il premier, che l’estate scorsa in Consiglio dei ministri scommetteva sull’«ottanta percento di sì» nelle urne, ora dice che «arriveremo almeno al 55-60 percento». Il fatto è che sul giudizio degli elettori — al di là del merito delle riforme — incidono i fattori esterni, il contesto politico ed economico. Ce n’è la prova nei sondaggi sull’Italicum, che negli indici di gradimento ha avuto una curva calante pari a quella di Renzi. È vero che accentrando su di sé la consultazione, il segretario del Pd cerca di creare un ponte per superare gli appuntamenti parlamentari ed elettorali del 2016: dalla legge sulle unioni civili — una palla di neve che al Senato potrebbe trasformarsi in una valanga — fino alle Amministrative, dove i dirigenti del suo partito sperano «al massimo in un pareggio».
Ma l’idea dell’uno contro tutti sul referendum costituzionale è un azzardo, anzitutto perché il capo del governo rischia di alienarsi quella fascia di astensionisti e di elettori di centrodestra a cui in fondo piace il rinnovamento della Costituzione. E certo non potrebbe bastargli far affidamento sull’appeal personale e sui soli voti democratici:
nell’analisi di fine anno fatta da Pagnoncelli sul Corriere si è notato come tra il gennaio e il dicembre del 2015 la fiducia di Renzi sia scesa dal 47 al 34,3%, con una contemporanea e vistosa riduzione della forbice rispetto al Pd, passato dal 38 al 31,2%. Per di più, durante un vertice con lo stato maggiore dei democratici, Renzi ha messo in conto che la minoranza interna del partito «non ci aiuterà» nella consultazione, anche se alla Camera l’undici gennaio voterà compattamente a favore delle riforme.
Come non bastasse, l’operazione «one man band» del premier ha innescato il malcontento nell’alleanza che sostiene il governo, ed è chiara la distinzione che fa il capogruppo di Ap Lupi sulle due opzioni: «Se ci sarà da dare battaglia con il referendum, per sostenere nel Paese il processo di innovazione costituzionale al quale abbiamo collaborato in prima linea, noi ci saremo. Ma non siamo disposti a partecipare a un plebiscito». Se così stanno le cose, perché Renzi ha deciso di intestarsi per intero e da solo l’operazione? La sua idea è che «comunque le opposizioni faranno coincidere le riforme con me, e useranno il referendum come uno strumento per mandarmi a casa», ancor più dopo le Amministrative che si preannunciano per il Pd ad alto rischio.
La tesi ha un fondamento, visto che Berlusconi punta proprio sull’uno-due per tentare il riscatto. Ancora ieri l’ex premier ha sostenuto che «mi toccherà tornare in campo per evitare che i Cinquestelle conquistino Palazzo Chigi. La parabola di Renzi è discendente. Dai sondaggi, con qualsiasi scenario, continua a emergere che i grillini vinceranno. La Casaleggio Associati sta allevando i suoi polli da batteria. E allora devo fare di tutto perché Forza Italia recuperi consensi rispetto al mio indice di fiducia personale che tocca il 25%. E dopo le Amministrative ci batteremo al referendum, dove sono certo che vinceremo».
È da dimostrare che possa essere Berlusconi a intestarsi un’eventuale sconfitta del premier nella doppia sfida, mentre sono chiare le ragioni che — dopo un’iniziale ritrosia — hanno spinto il leader del Pd a «giocare d’anticipo», a osare cioè l’uno contro tutti, rispetto a quello che Verdini definisce il «passaggio dirimente» della legislatura e della carriera politica del suo giovane amico. Una prova che gli stessi renziani prevedono molto dura, tra «diserzioni e opposizioni» di alleati e avversari: «Quella sarà la loro occasione», ha ammesso pubblicamente il premier.
Così se il referendum si trasformasse in un plebiscito, per Renzi sarebbe un’equazione con molte incognite, a partire dell’affluenza al voto: per vincere infatti bisognerà portare gli elettori alle urne su un tema che non scalda il cuore della gente. Perciò il premier ha alzato la posta della scommessa, conscio che la variabile più importante sarà legata alla condizione economica del Paese. E l’appuntamento in autunno sulle riforme, guarda caso, è previsto in coincidenza con la presentazione della legge di Stabilità.
Il leader di FI «Renzi è in discesa E Casaleggio sta allevando i suoi polli da batteria»