Corriere della Sera

Caselli e i suoi quarantase­i anni tra i misteri italiani

Ricordi su mafia, politica e Br Ma spazio anche alla vita privata «Facevo il piazzista all’Olivetti...»

- Giusi Fasano

« Sono sempre stato un “secchione”, anche all’università (...) Seguivo poco le lezioni perché dovevo alternare lo studio con il lavoro (...) Così vado a fare il produttore ( cioè il piazzista) per l’Olivetti (...) Giravo per uffici, officine e negozi della mia zona di Torino: “Ecco l’ultima Olivetti, il prodotto è ottimo (...) Lo compri, mi dia retta” ripetevo ai miei clienti».

Eccolo qui, il Gian Carlo Caselli che non ti aspetti. Quello del lavoro porta a porta ma anche quello che racconta di sua moglie Laura e di come l’ha conosciuta («Galeotto, strano a dirsi, è stato un film non d’amore ma dell’orrore » ) ; quello che non perde occasione per far sapere del suo tifo smisurato («acceso» dice) per il Toro, oppure quello che ricorda i suoi genitori «con voce dimessa e mesta» quella volta che dissero «non abbiamo i soldi» ai Salesiani che proponevan­o per lui il loro liceo privato. Finì che, per farlo studiare perché «molto bravo», i Salesiani dimezzaron­o la retta. E quel ragazzino che allora non sapeva che strada avrebbe preso la sua vita, oggi è convinto che «senza il loro aiuto il mio destino sarebbe stato certamente diverso».

Visto dall’inizio di questo 2016, il destino di Gian Carlo Caselli è stato un crocevia di persone e fatti che hanno segnato la storia del nostro Paese e che lui ha messo in fila a uno a uno in Nient’altro che la verità, il suo ultimo libro (con Mario Lancisi) per Piemme. Cronaca di una vita «per la Giustizia, fra misteri, calunnie e impunità», come dice il sottotitol­o. Il racconto, cioè, dei suoi 46 anni in magistratu­ra, di una Giustizia giusta, una sperata e una tradita. Ma anche ricordi e memorie che appartengo­no alla dimensione privata, perfino a quella religiosa.

La storia profession­ale di Gian Carlo Caselli comincia il 27 dicembre del 1967. Non è ancora trentenne quando apre la sua carriera come giudice istruttore a Torino indagando sulle Brigate rosse. Al Csm dal 1986 al 1990; a dirigere la Procura di Palermo dal ‘93 al ‘99, cioè dal giorno della cattura di Riina (e poi di molti altri mafiosi) ai grandi processi a Cosa nostra; al Dipartimen­to dell’amministra­zione penitenzia­ria dal ‘99 al 2001, poi l’esperienza come rappresent­ante italiano all’Eurojust. E ancora Torino: prima pg della Corte d’appello e infine procurator­e capo, fino alla fine di dicembre del 2013. Dal 2014 è presidente del comitato scientific­o dell’Osservator­io sulla criminalit­à nell’agricoltur­a.

Difficile capire se in Nient’altro che la verità l’io narrante sia più l’uomo o il magistrato. I sentimenti, le amarezze, le amicizie hanno un posto d’onore e sanno come farsi strada fra i tanti passaggi e successi profession­ali. Per esempio la grande amicizia con don Ciotti, oppure il legame d’affetto con i ragazzi della scorta, mentre la mafia pianificav­a attentati contro di lui.

Nel capitolo «misteri e calunnie» Caselli prova a chiarire una volta di più che Andreotti non è stato assolto, che «parlare di assoluzion­e è fuori da ogni realtà» perché fino «alla primavera del 1980 è stato dichiarato colpevole per aver commesso il reato contestato­gli», cioè «rapporti con la mafia». Fra i moltissimi personaggi che si affollano nelle 255 pagine del libro, ci sono Silvio Berlusconi e il generale Dalla Chiesa, il giudice Borsellino e Sgarbi, Bruno Vespa e Aldo Moro, Francesco Cossiga e Pietro Grasso, padre Puglisi e i No tav... E poi pentiti, mafiosi, terroristi. L’ex magistrato rivela episodi inediti e ricostruis­ce vecchi scontri con ambienti della politica e della magistratu­ra. Per dimostrare che il tempo, alla fine, ha dato sempre ragione a lui.

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