Le misure anti burqa in Lombardia «Vietato negli ospedali e negli uffici»
In vigore il provvedimento voluto dalla Lega. Le opposizioni: è solo demagogia
Il verde del contorno, per pura casualità, racconta molto dei cartelli apparsi a cavallo del nuovo anno agli ingressi di ospedali, Asl e uffici regionali della Lombardia. Perché non è solo il colore ufficiale della Regione, ma anche di quella Lega che, all’indomani dei tragici fatti di Parigi, ha deciso di cavalcare la crociata anti burqa, a dispetto delle polemiche. Tanto che tutta la genesi della delibera approvata a dicembre è targata Carroccio: dal consigliere che ha sollevato il tema, all’assessore che ha sposato l’idea, fino al governatore che ha presentato e difeso la delibera.
«Per ragioni di sicurezza è vietato l’ingresso con il volto coperto». L’avviso (tradotto anche in inglese, francese e arabo) è accompagnato da tre immagini: un casco, un passamontagna e, per ultimo, un velo integrale. Anche il 10 dicembre, all’approvazione del provvedimento che modifica le misure di accesso alle sedi regionali, il governatore leghista Roberto Maroni aveva evitato riferimenti al velo. E ancora giovedì si è limitato a un commento lasciato ai social: «Sicurezza dei cittadini: un
Velo integrale Donne musulmane a Milano: l’uso del burqa non è molto diffuso tra le comunità che vivono in Italia (Foto Tonino Sgro/TamTam) impegno costante di @LombardiaOnLine #dalprogrammaaifatti». Eppure l’obiettivo non può essere più esplicito. Come rivendica l’assessore alla Sicurezza Simona Bordonali, sempre del Carroccio. « In Lombardia — dice — non è più possibile entrare in ospedale e negli uffici regionali con burqa, niqab o qualsiasi oggetto che impedisca la riconoscibilità. Avevamo promesso che il divieto sarebbe entrato in vigore entro il 31 dicembre, e l’abbiamo fatto». Insieme al cartello, a tutti gli uffici è arrivata la richiesta di «provvedere con effetto immediato all’affissione» e di «formare il personale per garantire la corretta e rigorosa applicazione della disposizione». Sempre l’assessore promette: «Verificheremo che i cartelli siano stati esposti e che siano state adeguate le misure di sicurezza».
Coro di critiche dalle opposizioni. «Non è così — attaccano dal Pd — che si affrontano temi delicati legati alla sicurezza». Per il M5S la giunta Maroni «non ha scoperto nulla: c’è una legge nazionale, la sta solo strumentalizzando». Già all’annuncio erano arrivate le stroncature eccellenti del ministro di Giustizia Andrea Orlando («La legge c’è, non si avverte l’esigenza di inventarsene di nuove») e del prefetto di Milano Alessandro Marangoni. Lo stesso leader del Carroccio si era dimostrato freddo. Anche se ora Matteo Salvini prova a ricucire: «La legge esiste ma, come spesso capita in Italia, non è fatta rispettare. Fa bene Regione Lombardia a garantirne l’applicazione».
Le proteste si sollevano anche dalla società civile. «Nella mia vita prof e s s i o n a l e non ho mai visto una donna farsi visitare con il velo», assicura Alessandra Kustermann, primaria alla clinica Mangiagalli, dove il 25% delle donne assistite è di origine straniera. «Se l’affissione è obbligatoria, spero avvenga lontano dai luoghi di sofferenza». Annuncia ricorsi Davide Piccardo, del coordinamento delle associazioni islamiche milanesi, che bolla il divieto come «inutile e dannoso. Crea solo tensione. Siamo noi i primi a chiedere di evitare di girare con il velo».