Corriere della Sera

Le voci delle madri su commission­e

Brooke è morta pochi giorni prima del parto, Heather si è rifiutata di abortire Storie di donne che negli Stati Uniti danno alla luce più di 2000 bimbi l’anno

- Monica Ricci Sargentini per altri. gravidanza

dalla nostra inviata

Pronunciar­e il suo nome in una delle agenzie che si occupa di gestazione per altri equivale a ricevere un’occhiatacc­ia. Perché Brooke Lee Brown, 34 anni, è morta facendo figli per conto terzi. La donna, che viveva a Burley, in Idaho, era una surrogata di quelle che vengono definite seriali: aveva già avuto otto gravidanze, di cui cinque su commission­e. Alla fine del 2014 si era concessa solo tre mesi di pausa prima di sottoporsi a un nuovo transfer per conto di una coppia spagnola. Purtroppo a pochi giorni dal parto programmat­o di due gemelli, lo scorso 8 ottobre, la placenta di Brooke si è rotta. Per lei e per i suoi bambini non c’è stato nulla da fare. Su GoFundMe le «sorelle di surrogata» hanno lanciato una raccolta fondi per aiutare il marito della donna e i tre figli.

Si parla poco di questi casi negli Stati Uniti dove il business della gestazione per altri aumenta a ritmo esponenzia­le: più di duemila bambini nati ogni anno, il triplo di dieci anni fa, molti dei quali per coppie straniere. I costi sono da capogiro: dai 135 mila ai 200 mila dollari.

Kenia, capelli neri e un viso da ragazzina, ha 25 anni e due figli di 4 e 3 anni. Lo scorso 7 settembre ha dato alla luce un bambino per una coppia di uomini spagnoli. La incontriam­o nella sede di Fertility Miracles, a Calabasas, nella contea di Los Angeles, dove ora lavora come reclutatri­ce di madri per altri; «Il mio scopo — dice al Corriere — era di aiutare qualcuno. Quando ho visto il bambino tra le braccia dei genitori mi sono sentita felice». I soldi, assicura Kenia, sono una parte del percorso ma non la motivazion­e principale. «Io e mio marito — dice — li abbiamo messi da parte per le emergenze». È ancora più convinta Mandy Storer, 32 anni di Seattle, due figli di sei e di quattro anni, che alla sua prima gravidanza surrogata ha dedicato il I volti Da sinistra: Mandy Storer, 32 anni, di Seattle; Brooke Lee Brown, 8 gravidanze di cui 5 per altri, morta a 34 anni prima del parto; Kenia, 25 anni, mamma di due bimbi di 4 e 3; Heather Rice, si è rifiutata di abortire un bimbo malformato blog A baby to share. «Adoro essere incinta e mi piace anche il parto — spiega —, però non volevo avere più di due figli, così ho pensato che il mio compito era farne per gli altri. È così bello dare il bambino a persone che l’hanno aspettato tanto, la loro vita cambia grazie a me». Mandy ora lavora per Growing Generation­s, una delle agenzie di surrogacy più gettonate in Italia e sta per intraprend­ere un’altra

«Non mi sono mai sentita sfruttata. I bambini non sono miei ma dei loro genitori. Loro ci mettono gli ingredient­i, io sono il forno».

Ci sono però casi in cui non tutto va per il verso giusto. Melissa Cook, 47 anni, e Brittneyro­se Torres, 26 anni, aspettano tre gemelli ma i genitori committent­i pretendono che ne abortiscan­o uno. Loro si sono rifiutate, nonostante il contratto le obblighi a farlo, e si sono rivolte al Center for Bioethics and Culture (Cbc), un’organizzaz­ione guidata dall’attivista e film-maker Jennifer Lahl, che nel 2014 ha prodotto il documentar­io Breeders, a subclass of Women (Fattrici, una sottoclass­e di donne) in cui si racconta Su Corriere.it Tutte le puntate dell’inchiesta all’indirizzo www.corriere. it/cronache/ speciali/ 2015/maternita la storia di alcune «madri per altri». Una di queste è Heather Rice che alla seconda gravidanza su commission­e ha scoperto che il bimbo era malformato. «Ho detto ai genitori che non potevo abortire — racconta — e il padre mi ha risposto che Dio mi avrebbe punito». Alla fine il bambino nascerà ma la donna non saprà più nulla di lui: «Ci penso ogni giorno» dice.

Il problema è che le agenzie selezionan­o con scrupolo le surrogate ma non i committent­i. Sono ben 81 i genitori intenziona­li che negli anni hanno cambiato idea e non hanno «ritirato» il bambino. John Weltman, avvocato, nel 1995 ha fondato Circle Surrogacy. «Abbiamo capito di dover prestare più attenzione alle coppie che vengono da noi. Controllia­mo che non abbiano precedenti penali e che siano motivati veramente». Weltman è sincero: non pensa che la surrogata sia motivata solo da altruismo. «Contano anche i soldi e il desiderio di rimanere a casa con i propri figli».

Kim Bergman è una donna appassiona­ta e si capisce che non dirige l’agenzia Growing Generation­s per caso. Ci riceve in una stanza adornata dai ritratti dei bambini nati grazie a lei. Su un tavolino spicca una foto di Obama. Quando sente parlare delle obiezioni delle femministe si infervora: «La surrogata etica è la collaboraz­ione tra adulti informati e consenzien­ti che si mettono insieme per aiutare qualcun altro. Le femministe si sbagliano, queste non sono donne povere». Kim però è convinta che ci voglia una selezione molto dura delle surrogate. «Noi prendiamo solo l’1% delle candidate. E se una non è disposta ad abortire la scartiamo. Io, in 20 anni, non ho mai visto un problema».

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