Corriere della Sera

I FANTASMI DELL’INTOLLERAN­ZA NELL’EUROPA

DELL’EST

- Di Antonio Armellini

Può apparire strano che Paesi liberatisi da dittature che ne hanno represso a lungo la libertà, si rifiutino di ammettere che l’accoglienz­a è un dovere di civiltà dell’Ue tutta intera e siano intenti a rimpiazzar­e i vecchi muri con nuovi steccati, per tenere fuori un’umanità che fugge dalla guerra e da regimi che si fanno beffe della dignità e del diritto. Strano forse, ma è la realtà di buona parte di quella che un tempo si chiamava Europa dell’Est. Sessant’anni di un processo di integrazio­ne difficile hanno dato a una parte dell’Europa — la nostra — la possibilit­à di fare i conti con il proprio passato dopo due devastanti guerre mondiali, di elaborare il pesante bagaglio delle dittature e di darsi una struttura democratic­a che garantisse pace e stabilità. Nulla di ciò è accaduto nell’ex «comunità socialista».

La dominazion­e sovietica ha annegato per cinquant’anni le identità nazionali in un internazio­nalismo posticcio, impedendo una autonoma riflession­e politica e isolando il dibattito da ciò che si andava sviluppand­o criticamen­te altrove. Caduto il diaframma con la fine dell’Urss, tutto è sembrato ripartire dalla situazione esistente nell’immediato dopoguerra, se non in molti casi prima. L’adesione all’Ue è stata perseguita nella sua dimensione di mercato e di garanzia di sicurezza, mentre l’impegno per l’unione politica è rimasto al margine. Si trattava di tornare ad essere se stessi, prima di pensare ad ipotetiche cessioni di sovranità. Geografia e storia hanno fatto sì che identità nazionali forti e confini statuali deboli si siano spesso incrociati, con la risultante che in nessun’altra parte d’Europa si può trovare un simile intreccio di minoranze, viste quasi sempre come un elemento «antinazion­ale» dal quale difendersi. Intolleran­ze e xenofobie hanno radici profonde, cui si aggiungono pulsioni antisemite che stupiscono in Paesi che più di altri hanno patito la Shoah, e il rifiuto venato di razzismo nei confronti dei migranti non appare destinato ad essere un fenomeno passeggero. La crisi economica ha gettato un’ombra sulla scelta europea e fatto tramontare il sogno di un rapido avviciname­nto ai livelli di vita dell’Occidente, dando nuova forza a vecchi fantasmi non solo nell’Ungheria di Orbán e nella Polonia di Duda ma anche, in forme solo apparentem­ente meno marcate, in quasi tutto il resto della regione.

La Le Pen e Salvini, gli antieurope­isti olandesi e scandinavi, hanno matrici politiche e radici storiche di tutt’altro tipo, ma attenzione ai collegamen­ti. L’affievolir­si del collante del sentimento europeo e l’insicurezz­a causata anche da noi da una crisi economica che stenta a morire, alimentano movimenti basati sulla paura del futuro e il rifiuto del diverso, i quali hanno motivazion­i se possibile ancora più implausibi­li ma che, per quanto strumental­i, devono preoccupar­e. Allargando­si verso Est l’Ue aveva ritenuto che l’attrazione di un modello vincente di libertà e tolleranza avrebbe permesso di unificare il continente sulla base di principi condivisi. Abbiamo probabilme­nte avuto troppa fretta e sottovalut­ato una divisione che la fine delle ideologie aveva cancellato solo in parte. Ciò detto, non si tratta di creare nuovi e controprod­ucenti cordoni sanitari: la Polonia è stata a lungo un membro costruttiv­o dell’ Ue e deve poter tornare ad esserlo, così come l’Ungheria. In una Europa che sarà chiamata a muoversi sempre più lungo linee autonome e non necessaria­mente convergent­i, vi potrà essere spazio per processi più lenti, a condizione che questi non mettano in pericolo il procedere degli altri. Nel prendere atto del ritardo di alcuni, dovremo ribadire che l’Unione Europea ha una caratteriz­zazione economica e politica che va salvaguard­ata, ma è in primo luogo portatrice di valori di civiltà che ne rappresent­ano l’irrinuncia­bile essenza comune. Contestarl­i vorrà dire chiamarsi fuori, perché l’Europa potrà essere anche non soltanto cristiana, ma se rinunciass­e ad essere tollerante avrebbe perso la ragione della sua esistenza.

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