Corriere della Sera

Se nessuno supera il 30-35% un governo monocolore può nascere con il sostegno di partiti esclusi dal ballottagg­io

- Di Stefano Passigli

Vi sono politologi, come Maurice Duverger e molti suoi epigoni, che affermano che i sistemi di partito sono largamente dipendenti dalle leggi elettorali. Altri studiosi, come Giovanni Sartori o Stein Rokkan, affermano invece che sistemi di partito e forma di governo sono sì influenzat­i dai sistemi elettorali, ma più ancora da fattori di lungo periodo quali le modalità di formazione dello Stato nazionale, la presenza di minoranze etniche o religiose, la forma di Stato, i conflitti interni al sistema economico, e così via. Nella scienza politica del ‘900 vi sono insomma stati due indirizzi, ma oggi i politologi più accorti riconoscon­o ormai l’insufficie­nza di una analisi focalizzat­a solo sull’influenza delle leggi elettorali.

Le recenti elezioni spagnole si prestano egregiamen­te ad illustrare la questione. Tutti i commentato­ri hanno sottolinea­to che il loro esito, assieme ai risultati in altri Paesi europei, sembra sancire la fine di quel bipolarism­o che i più avevano salutato con favore. Solo Angelo Panebianco sul Corriere ha giustament­e ricordato che una competizio­ne bipolare caratteriz­za ancora Gran Bretagna e Francia, cui unirei la Germania. Ma non si può tacere che l’assetto bipolare della competizio­ne elettorale ha subito anche in questi Paesi — con l’eccezione proprio della Germania — un marcato indebolime­nto, con l’emergere in Gran Bretagna di un partito nazionalis­ta (Ukp) e il rafforzars­i degli indipenden­tisti scozzesi, e in Francia con il consolidar­si del Front National.

Su questa crisi del bipolarism­o le leggi elettorali hanno avuto ben poca influenza: la legge spagnola è stata a lungo indicata in Italia come un possibile toccasana per superare la frammentaz­ione del sistema partitico, e descritta (grazie ai suoi piccoli collegi e al mancato recupero nazionale dei resti) come una legge dall’esito implicito fortemente maggiorita­rio. Ma è bastata una crisi economica per vedere sorgere nuovi partiti e assestare al supposto inevitabil­e bipolarism­o spagnolo un colpo forse mortale. A un sistema pensato come sostanzial­mente maggiorita­rio non ha insomma risposto un esito bipolare, bensì un probabile difficile periodo di instabilit­à.

Di contro la Germania, notoriamen­te caratteriz­zata da un sistema proporzion­ale, ha conosciuto

INTERVENTO

stabili coalizioni, e una competizio­ne elettorale bipolare. Contrariam­ente all’assunto che a governi di coalizione corrispond­a necessaria­mente instabilit­à politica, la Germania dimostra che anche in caso di grande coalizione tra i due partiti protagonis­ti della competizio­ne bipolare (Cdu e Spd) si può avere stabilità politica ed efficacia dell’azione di governo. Il rapporto tra leggi elettorali e struttura del sistema partitico e natura della competizio­ne elettorale non è insomma univoco, ed è vano ricorrere all’ingegneria elettorale per forzare un sistema in un assetto bipolare. Paradossal­mente, potremmo affermare che non è un sistema elettorale maggiorita­rio a produrre il bipolarism­o, ma al contrario che è il bipolarism­o a consentire leggi fortemente maggiorita­rie.

Quali conclusion­i trarre da questi sviluppi europei per la situazione italiana ed il ruolo dell’Italicum? Nessuno ha mai messo in dubbio che in tempo di guerra siano opportuni governi di unità nazionale. Viviamo in tempi di grave crisi economica, di terrorismo internazio­nale, e di tensioni generazion­ali con una forte disoccupaz­ione giovanile e una popolazion­e anziana destinata alla povertà dalla crisi dello stato sociale. In queste condizioni, se vi è un partito dominante che superi il 40-45% dei voti è lecito ricorrere a un premio di maggioranz­a che assicuri efficaci governi monopartit­ici. Ma in una situazione multipolar­e, in cui nessun partito superasse il 30-35% dei voti e distanzias­se nettamente gli avversari, una legge elettorale ipermaggio­ritaria produrrebb­e artificios­i governi monopartit­ici frutto della scelta degli elettori dei partiti esclusi dal ballottagg­io. Se questo è vero, teorizzare — come da tempo si va facendo in Italia — che governi sostanzial­mente monopartit­ici, risultato non della presenza di un partito dominante ma di iperbolici premi di maggioranz­a, siano necessaria­mente da preferire a stabili governi di coalizione basati (come in Germania) su solidi accordi programmat­ici è un indubbio azzardo.

In conclusion­e, l’Italicum è una buona legge, ma potrà produrre un governo efficace solo se un partito raggiunger­à il 40% dei voti; un ballottagg­io tra partiti del 30% o poco più, deciso dagli elettori dei terzi partiti, non potrebbe infatti garantire un governo in grado di rispondere alle domande della maggioranz­a degli elettori. Se questo è il caso, sarebbe opportuno introdurre nell’Italicum una clausola di salvaguard­ia prevedendo che nel caso nessun partito superi il 35% del voto non si ricorra al ballottagg­io. Piuttosto che a governi monopartit­ici, maggiorita­ri in Parlamento ma fortemente minoritari nel Paese, meglio sarebbe, in condizioni di emergenza, il ricorso ad una grande coalizione. Ha funzionato in Germania e in Gran Bretagna. Potrebbe funzionare anche in Italia. È anche dalla capacità di giungere a mediazioni condivise che si giudica l’adeguatezz­a e il senso di responsabi­lità di una classe politica.

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