Dalla giungla andina a Parigi Smeraldi d’haute couture
Muzo presenta per la prima volta le sue gemme. Il ritorno del «verde»
I l verde della vegetazione della giungla andina sembra essersi liquefatto penetrando nel sottosuolo, fino a generare nelle viscere della terra un miracolo di bellezza, lo smeraldo. Geologicamente ovviamente non è così. Da quelli che un tempo erano abissi marini (oggi la Cordigliera) vengono strappate splendide preziosità.
L’ultima, trovata nella miniera di Muzo (a 815 metri d’altezza, nella regione di Boyacá, Colombia), occupa il palmo della mano, pesa 400 grammi, 2.350 carati (tagliarla o non tagliarla si chiedono gli esperti, di solito si tiene il 30% della forma grezza). Ed è già stata liberata dalla sua matrice (di calcite o di pirite, che segnalano ai minatori la
quasi certa presenza della gemma nella roccia). Un esemplare del genere si trova ogni vent’anni. Adesso la pietra volerà in elicottero a Bogotà (a 100 chilometri di distanza), nel quartier generale della Muzo Companies (e poi nella zona franca per essere lavorata nei loro laboratori). Evitando tutte le insidie stradali di questa zona poverissima esposta agli assalti, con un pueblo di casupole dal tetto di latta, percorsa dal Rio Minero, dove ancora si cercano vanamente smeraldi. E lunghi tratti delle alture sono delimitati dal filo spinato, guardie private armate della miniera brandiscono rottweiler sorvegliando chiunque.
Le acque del Rio sono così all’opposto di quelle sfavillanti della Senna di Parigi e del Reno di Basilea, dove a gennaio (durante l’haute couture) e poi a marzo alla fiera di Baselworld, la Muzo, compagnia a capitale americano (Texas) operante in Colombia, si presenterà per la prima volta con la sua gamma altisonante di smeraldi, lavorati per l’occasione da designer internazionali come Antoine Sandoz, Studio Naio, Elie Top, Shaun Leane, Solange Azagury-Partrdige.
«Dimostriamo così tutta la potenzialità delle nostre pietre. La collezione di gemme è però la nostra vera identità. Vogliamo affermarci per la qualità superiore degli smeraldi (che oggi estraiamo senza ricorrere alla dinamite, metodo usato dal precedente proprietario della miniera), certificata dalla loro tracciabilità — dice Corentin Quideau, brand manager —. Non vendiamo ai privati. Sarà un prodotto di lusso (ambito da Cartier, Van Cleef, Bulgari, Tiffany, Chopard, de Grisogono, Adler), ma disponibile anche per tutti quei gioiellieri tradizionali, di riferimento nelle cit- tà del mondo».
Nel Boyacá ci sono anche altre miniere (Chivor, Coscuéz, La Pita), ma quella di Muzo (estensione del sito 2.500 chilometri quadrati) risulta la migliore dal punto di vista geologico. «La struttura mineralogica degli smeraldi colombiani si differenzia da quelle del resto del mondo perché è più giovane. Ha solo dieci milioni di anni, mentre le rocce sono di 60/70 milioni di anni. Gli smeraldi sono posteriori alla formazione geologica — dice Wilfredo Morales, capo del dipartimento di geologia della miniera —. Oggi scendiamo fino a meno 150 metri, ma da studi geofisici e biochimici risulta che alle profondità di meno 300 e 500 metri vi siano filoni molto importanti. Il terreno è molto difficile, però la tecnologia forse ci permetterà di fare tunnel più grandi e di scendere fino a quei livelli».
Elizabeth Robinson, amministratore delegato di Muzo, dice che la concessione acquisita definitivamente nel 2014 (rinnovabile per 25 anni) non pone loro alcun limite di sfruttamento del sottosuolo. Subentrando al vecchio potente proprietario Victor Carranza, la società ha riorganizzato la gestione della miniera in modo legale e sicuro (portando ossigeno canalizzato sottoterra), mettendo al bando il lavoro minorile, retribuendo i minatori (400 dollari al mese, prima si compensavano da sé rubando piccoli smeraldi), fornendo servizi sanitari e sociali per gli anziani del posto.
Nel XVI secolo i Conquistadores, alla ricerca della mitica El Dorado, setacciarono la Colombia (Muzo fu fondata nel 1559) in cerca dei manufatti d’oro precolombiani per fonderli. Ma apprezzarono subito anche le verdi pietre che gli indigeni usavano per i loro rituali propiziatori. Così per adornare il capo della statua della Vergine nella cattedrale di Popayán gli spagnoli fecero realizzare nel 1660 la Corona delle Ande (recente acquisizione del Metropolitan Museum di New York) con 443 smeraldi. Ma la Colombia vanta anche dei rari reperti. Fossili di molluschi al cui guscio si è sostituita la formazione mineralogica dello smeraldo. Averne uno al dito sarebbe proibitivo.
Tesori L’ultima super pietra estratta dalla storica miniera pesa 400 grammi, 2.350 carati