Berlino e Parigi quei fronti nazionali della finanza
Icambiamenti per le banche europee non sono ancora finiti e nel 2016 saranno diversi i tavoli di trattativa che hanno al centro il mondo del credito e che metteranno a confronto istituzioni Ue e capitali. A cominciare da quello sulla costituzione di una garanzia europea dei depositi, elemento chiave per completare l’Unione bancaria, su cui insiste molto l’Italia. Ma il no di Berlino per ora è determinante. Poi c’è l’ormai annosa questione della riforma strutturale del sistema bancario. La storia comincia nel 2013 quando l’allora commissario Ue per il Mercato interno Michel Barnier aveva avanzato la prima proposta per separare le banche commerciali dalle banche di investimento, sulla scia della crisi finanziaria che aveva messo in difficoltà il sistema del credito americano ed europeo. L’Ecofin del 21 giugno scorso ha dato il via libera alla posizione negoziale che il Consiglio deve tenere con il Parlamento Ue, ma il Parlamento Ue non ha ancora trovato una posizione comune per presentarsi al trilogo. Qual è il problema? Semplificando molto, in ballo ci sono i criteri da adottare per far scattare la separazione o misure di rafforzamento dell’istituto in presenza di un certo ammontare di asset derivati. Nella «lista nera» finiscono sempre e comunque le banche francesi perché sono le più esposte in Europa per quel tipo di attività, ma a seconda dei criteri che si decideranno di adottare la lista degli istituti si allungherà includendo o meno anche le banche di altri Paesi. Un punto d’incontro sembrava essere stato trovato tra i Popolari e i Socialisti all’interno della Commissione problemi economici e monetari del Parlamento Ue a fine ottobre. Ma la diplomazia francese ha cominciato a dare battaglia. È sceso in campo anche il premier Manuel Valls in difesa dei propri istituti e tutto è stato rimesso in discussione. Un impasse che preoccupa anche la Federazione europea delle banche, che in dicembre ha scritto al presidente Juncker per un incontro in gennaio.