Il discorso del capo dello Stato
Non un’aulica «lectio magistralis» ma un’efficace, colta ma tutt’altro che pesante, lezione di educazione civica, moderna, quella impartita da Sergio Mattarella, nel suo primo discorso di fine anno agli italiani: un‘esternazione condotta con toni colloquiali, tralasciando politica, riforme e la polemica sulle banche, saltando le mediazioni del «teatrino romano», nel tentativo di riavvicinare milioni di italiani, che non vanno a votare, alle istituzioni. Rivolta dal più alto Palazzo romano di quel potere che, per primo, sulle colonne del Corriere diretto da Piero Ottone, 40 anni fa, Pier Paolo Pasolini bocciò come avvolto da ombre e distante dalla gente comune. Una conversazione, da professore, né distaccata né ampollosa, svolta non dalla scrivania, ma seduto sulla poltrona di un salotto del Quirinale. Da prestigioso docente universitario e non da professionista della politica, come era, seppure tra i più stimati, Giorgio Napolitano, che esercitò il ruolo di «moral suasion» con i partiti, mentre il nuovo inquilino del Colle ha segnalato le questioni più urgenti all’Esecutivo e al Parlamento da primo cittadino del Paese. Significativa la sottolineatura del problema più sentito, quello del lavoro, insieme alla distanza del Mezzogiorno dal resto del Paese, di tematiche, che riguardano da vicino la vita degli italiani: l’inquinamento delle città e il trasporto pubblico, la cura del territorio, l’evasione fiscale, la corruzione, l’immigrazione, l’importanza del ruolo delle donne nella società, con l’elogio di tre italiane di successo. Al governo il presidente ha evidenziato che quella del Sud è «una questione nazionale. Senza una crescita del Meridione, l’intero Paese resterà indietro». Parole significative, come l’opportuna richiesta di maggiore severità nel combattere l’evasione fiscale: «Gli evasori danneggiano la comunità nazionale e i cittadini onesti». Giusto e commovente il
Il tedesco (migliorabile) di Ancelotti