UNA MICCIA ACCESA NELLA POLVERIERA
Annunciando l’esecuzione di quarantasette «terroristi» l’Arabia Saudita ha confermato di essere tra i Paesi del mondo che maggiormente fanno ricorso alla pena di morte, ma ha anche lanciato un devastante siluro. Uccidendo un leader religioso sciita, i sauditi minano gli sforzi internazionali in atto.
Gli sforzi della comunità internazionale sono infatti volti ad aprire negoziati tra sunniti e sciiti nella speranza di battere l’Isis e di porre fine alla guerra civile siriana.
Nimr Baqer al-Nimr nel 2009 aveva proposto ai suoi seguaci la secessione delle province saudite orientali, quelle più ricche di petrolio e abitate da una minoranza sciita che viene sistematicamente discriminata dai sunniti di Riad. Arrestato e condannato lo scorso anno alla decapitazione, si riteneva che la famiglia regnante avrebbe rimandato sine die l’applicazione della sentenza per non inasprire in un colpo solo la crisi siriana e quella yemenita. Invece re Salman ha fatto esattamente l’opposto: ha ucciso il predicatore sciita assieme a veri terroristi provenienti in parte dalle file sunnite di Al Qaeda. Questo, pochi giorni dopo aver riunito sotto le bandiere saudite una larga coalizione di gruppi sunniti che in Siria si battono contro Assad e che dovrebbero, nella seconda metà del mese, cominciare a negoziare con il potere sciita di Damasco.
Le reazioni sono state furibonde, com’era scontato. Dall’Iran è stato promesso di «cancellare la dinastia dei Saud», l’Iraq a guida sciita ha ventilato contromisure, gli sciiti libanesi di Hezbollah hanno annunciato vendetta, e ci sono stati i primi episodi violenti che potrebbero moltiplicarsi nei prossimi giorni. Ma sin d’ora alcuni elementi risultano chiarissimi: è a dir poco debole l’influenza Usa sull’alleato saudita, e il colpo di maglio vibrato contro qualsiasi forma di trattativa o di intesa tra sunniti e sciiti fa compiere un grande salto all’indietro al «processo di Vienna» sponsorizzato appunto da americani e russi assieme all’Onu. L’Iran, attore essenziale per un compromesso, non potrà perdere la faccia. Lo stesso accadrà al governo iracheno tuttora impegnato nella battaglia di Ramadi. A Damasco Bashar al Assad avrà indirettamente più frecce al suo arco, e questo non dispiacerà a Putin e al suo doppio gioco. La lotta contro l’Isis torna alla sua radice, lo scontro tra sunniti e sciiti. Una radice che re Salman si è premurato di rinforzare.