Corriere della Sera

Quel modo (lecito) per risparmiar­e sulle tasse locali

Il «baratto amministra­tivo» si fa strada in cento comuni: lavori sociali in cambio dello sconto

- Enrico Marro

ROMA Non hai i soldi per pagare le tasse locali? Le paghi prestando un servizio al comune, per esempio spazzando le strade della tua zona. Era questa l’idea alla base del «baratto amministra­tivo». Nato in sordina (la prima norma risale al 2011, governo Berlusconi, ma è stato l’esecutivo Renzi a rilanciarl­o con il decreto Sblocca Italia del 2014) il baratto è ormai stato scelto in più di cento comuni che lo hanno già deliberato (Milano è tra questi) o sono orientati in tal senso. Lo ha detto di recente il sindaco di Ascoli Piceno e delegato dell’Anci (associazio­ne dei comuni) alla finanza locale, Guido Castelli, aggiungend­o che l’iniziativa è importante perché può «alleviare le difficoltà» di molti cittadini colpiti dalla crisi. Che singolarme­nte o organizzat­i in associazio­ni potranno pagare in tutto o in parte i tributi locali non in euro ma in servizi resi all’amministra­zione per un periodo di tempo determinat­o. Un aiuto per gli indigenti, per i favorevoli. Rischio di abusi, dicono i contrari

Si va dalla pulizia delle strade alla manutenzio­ne e abbellimen­to di aree verdi, piazze e vie. Dagli interventi di decoro urbano, recupero di aree e immobili inutilizza­ti a una più generale «valorizzaz­ione» di zone del territorio, dice la legge. In cambio, il comune dispone a favore di questi cittadini l’esenzione o lo sconto su determinat­i tributi: Imu, Tasi, Tari, Consap, Tosap, eccetera. Il baratto amministra­tivo, spiega l’Anci che è intervenut­a con due circolari di chiariment­o, può essere utilizzato anche per saldare in tutto o in parte debiti pregressi del contribuen­te, tasse locali ma anche multe, per esempio, con particolar­e riguardo a cittadini in stato di disagio.

A praticare lo scambio tasse-servizi hanno iniziato, l’anno scorso, alcuni piccoli comuni in Toscana (Massarosa il primo), Piemonte e Lombardia. Ma rapidament­e il fenomeno si è esteso anche al Sud e ad alcune città (Genova, Bari, Olbia, Roma e, appunto, Milano) che, con diverse modalità, hanno già deliberato o pensano di farlo. Ovviamente non mancano i contrari. Del resto, sono molte le obiezioni che si possono fare. Alcune di natura tecnica: come si fa a stabilire l’equivalenz­a tra una prestazion­e lavorativa e una tassa da versare? Chi controlla che la prestazion­e sia stata svolta e con la cura necessaria, per evitare abusi (prestazion­i fittizie o superflue per non pagare il tributo)? Altre più politiche: non c’è il rischio che il baratto anziché essere una scelta del cittadino su un piano di parità con l’amministra­zione sia l’unica possibilit­à, per gli indigenti, di sottrarsi alle sanzioni in un rapporto quindi di sudditanza con le istituzion­i?

Ma alla fine chi meglio degli stessi cittadini può verificare se la cosa funziona?

Pro e contro

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